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Giuliana Ferraino per il Corriere della Sera
«Sul serio il Parlamento Ue costringerà Google, Facebook e le altre piattaforme web a pagare gli editori per mostrare frammenti di notizie? Wow! Se succederà davvero, temo conseguenze indesiderate», sostiene Guy Kawasaki, 63 anni, venture capitalist della Silicon Valley ed ex «chief evangelist» di Apple, ieri a Milano per il Digital Convergence Day promosso da The Digital Box in collaborazione con l' Università Bocconi.
Quali conseguenze?
«I giganti del web potrebbero decidere di non aggregare più le notizie e quindi i siti di informazione avrebbero meno traffico. Che però, vale di più del pagamento che gli editori pretendono. Ma vedo un rischio maggiore».
Qual è?
«Meno notizie di qualità e più fake news. Negli Stati Uniti molti miliardari sarebbero disposti a pagare per influenzare l' opinione pubblica. E non solo loro».
Cosa pensa della norma per forzare soggetti come YouTube e Instagram a installare filtri per impedire di caricare materiale con copyright o chiedere la licenza?
«Non so se esista la tecnologia per controllare ogni foto, ogni post, ogni video. Anche in questo caso però ho paura degli effetti indesiderati».
Il più pericoloso?
«Vedremo più informazione partigiana, perché solo i ricchi potranno permettersi di pubblicare contenuti protetti da copyright. Questo è un atto di disperazione da parte degli editori, se ne pentiranno. L' informazione deve essere libera».
Ma se tutto è gratis, chi paga per il giornalismo di qualità?
«In Gran Bretagna lo Stato finanzia la Bbc».
I governi non bastano. Come si salva il pluralismo dell' informazione?
«Le Fondazioni possono giocare un ruolo importante.
Penso, ad esempio, alla Fondazione Pulitzer o alla Fondazione Koch. Oppure al modello di Pro Publica. Ma le cose possono cambiare, forse verrà il momento in cui la gente capirà che è giusto pagare per le notizie di qualità. Io pago per leggere il Washington Post.
Forse molti decideranno di pagare una piccola somma anche per proteggere la privacy sui social network».
Che cosa intende?
«Siedo nel board di Privy, un social network privato appena nato "anti social", senza pubblicità e algoritmi per tracciare gli utenti. Si entra solo su invito e si paga un abbonamento mensile».
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