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Selvaggia Lucarelli per il “Fatto Quotidiano”
Lo chiamavano Jeeg Robot, primo lungometraggio di Gabriele Mainetti, è uno di quei film così sorprendentemente felici che viene voglia di stroncarlo per puro esercizio di stile.
Per allenarsi a cercare il difetto, un po' come quelle donne che dicono "Sì, Gisele Bundchen per carità, bella ragazza, ma ha la faccia un po' da cavalla", che tu annuisci e poi aggiungi che se quelle sono sembianze equine, chiedi di essere sellata subito. Il problema è che cercare la smagliatura in un film come questo, sarebbe un' impresa da supereroi e di supereroe basta e avanza quello interpretato da Claudio Santamaria in questa pellicola che tanto piacerebbe a Quentin Tarantino.
Egli piacerebbe perché è un film di eroi loro malgrado e di antieroi sgangherati, di buoni sfigati e di cattivi ancora più sfigati, di splatter, fantasia narrativa e ironia fumettistica mescolati in dosi ben più massicce che nel polpettone americano medio in cui il supereroe ha spesso una tuta troppo aderente e una trama troppo slabbrata.
Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria), a dire il vero, la tuta da supereroe neanche ce l' ha, anzi, ha un paio di scarpe di camoscio che come minimo dovrebbero costargli una punizione contronatura col calzascarpe adoperato dal cattivo Enzo Miccio. E neppure il pedigree, visto che non ha alcuna vocazione da benefattore. È un delinquentello solo al mondo e senza particolari talenti criminali che vive a Tor Bella Monaca, periferia romana delle case popolari e della droga all' angolo della strada.
La sua vicina è come Miss Italia, ovvero la classica ragazza della porta accanto, solo che qui il pianerottolo è occupato dalla porta di un ladro, da quella di uno spacciatore e, appunto, dalla ragazza della porta accanto a quella del ladro che è una nuova versione delle anime giapponesi: la ragazza manga coatta. Alessia (così si chiama), a parte la parlata biascicato-romanesca alla Micaela Ramazzotti che uno si domanda se per tutto il film non cerchino di eliminarla per quello, è in realtà un personaggio fiabesco, borderline, stralunato e poetico, con una storia di abusi da dimenticare e un vestito da principessa da cercare in un centro commerciale.
Durante una fuga dalla polizia, Enzo si tuffa nel Tevere e accade quello che osservando il colore del Tevere da Ponte Milvio forse è l' unica faccenda prevedibile del film, ovvero entra in contatto con sostanze radioattive che potrebbero essere qualsiasi cosa, da streptococco a uranio impoverito. Fatto sta che anziché il cagotto, gli vengono i superpoteri. Una forza sovrumana.
JEEG ROBOT LO ZINGARO MARINELLI
Per intenderci, quella che ha avuto Vendola nel non sfanculare Salvini per i commenti sulla sua paternità. A questo punto uno si immagina che con questi super poteri Enzo decida di tirarsela un po', che so, di andare al Luna Park e di fare il coatto al pugnometro, di partecipare a qualche rissa alla Camera o di diventare un delinquente serio, invece no, lui sradica un bancomat dal muro e se lo porta a casa.
Con i soldi compra film porno e l' unico cibo di cui si nutre: vasetti di budino. E qui, va detto, il film ricorda un po' l' indimenticabile Leon: Enzo e Alessia sono un po' la versione alla amatriciana di Leon e Mathilda. Vicini di casa, burbero lui, genuina lei, solo al mondo lui e orfana lei, Enzo che mangia solo budini, Leon che beve solo latte e un legame che cambierà lui più che lei. Naturalmente c' è pure il cattivo. E qui si può gridare al capolavoro.
A prima vista "Lo zingaro" è un po' Joker e un po' Loki, ma in realtà non è nulla di tutto questo. È il cattivo più moderno della storia. Feroce, mitomane, con una serie di frustrazioni molto contemporanee quali quella di aver partecipato a Buona Domenica ma di non aver sfondato, quella di essere un delinquente ma di non compiere azioni così spettacolari da essere riprese e da realizzare migliaia di visite su youtube, quella di essere probabilmente gay ma di non poterlo dire perché a intuito l' ambiente della criminalità romana è come quello del calcio: se fai coming out nessuno ti prende più sul serio.
E allora tra un crimine e un altro si trucca e canta Anna Oxa nelle balere diventando il primo cattivo metrosexual senza fluidi mortali ma con una sessualità sfacciatamente fluida. Il primo cattivo senza criptonite, ma cripto-gay.
Come se non bastasse, vive in un canile, perché ormai i cattivi moderni, i cattivi più cattivi di tutti mica sono quelli che bombardano i civili in Siria, sono quelli che maltrattano gli animali.
Lo chiamavano Jeeg Robot è un film moderno, riuscito, originale, con un cast azzeccatissimo: Claudio Santamaria ha messo su venti chili di muscoli e ha reso asciutta la recitazione, creando un supereroe schivo e misantropo. Ilenia Pastorelli è perfetta nel suo essere sognante e sgangherata.
Luca Marinelli (un talento vero) riesce nella rara impresa di essere il malvagio che si concede qualche baracconata senza mai diventare caricaturale. Insomma. Lo chiamavano Jeeg Robot è un gran bel film. Per quel che riguarda il regista Gabriele Mainetti, "Lo chiamavano esordiente" ma ho la sensazione che molto presto diventerà un signor regista.
P.s. La scena della giostra è pura poesia. Preparate una cartucciera di Kleenex, siete avvisati.
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