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Andrew O’ Hehir per “Salon”
In America non si fa che parlare di “Ex Machina”, eccellente film presentato al “South by Southwest”, scritto e diretto da Alex Garland (autore di “The Beach” e sceneggiatore di “28 Giorni Dopo”), interpretato da Domhall Gleeson, Oscar Isaac e Alicia Vikander. E’ un thriller fantascientifico che ruota attorno a un triangolo amoroso che coinvolge due uomini e una donna robot.
E’ un’indagine visuale e psicologica di tre personaggi che giocano a un gioco di coercizione, manipolazione e inganno. Nathan è il genio del software e Caleb il programmatore che deve effettuare il test su “Ava”, l’ultima seducente creazione di intelligenza artificiale, per stabilire se si tratti di una entità che possiede una reale coscienza o di semplice simulazione.
E’ un misto fra la “Lolita” di Nabokov” e il “Frankenstein” di Mary Shelley, che fruga nella sessualità umana e nelle relazioni di genere, rivela i desideri e le delusioni di chi crea e quindi sente di avere il diritto a manipolare.
Non sono mancate le critiche di misoginia e sessismo, alle quali Garland risponde così: «Il pubblico a volte reagisce in modo opposto alle tue intenzioni. “The Beach” era una critica alla scena dei viaggiatori zaino in spalla, affettuosa ma sempre di critica si trattava, invece l’hanno presa come una celebrazione. In questo nuovo film la mia idea era di decostruire le attitudini maschili verso le donne e l’identità di genere. E’ stato creato in modo da non fare compromessi, nella piena libertà di realizzare una grande idea.
E’ chiaro che parlare di relazioni porta a trattare le strutture del potere, le gerarchie, gli equilibri, i giochi a cui giochiamo. E il sesso ne è parte integrante. La disconnessione che presento nel film non è solo fra uomo e donna, ma fra esseri umani, aldilà dei generi. Il problema fra le persone è lo stesso che con le macchine: ti domandi se stiano fingendo o provando davvero ciò che dicono. Il personaggio di Nathan è ispirato alle corporazioni, alle grandi compagnie che si mostrano amichevoli per raggiungere degli obiettivi precisi, e ha anche qualcosa del Kurtz di “Cuore di tenebra”.
Tortura se stesso e gli altri, è devoto all’autodistruzione. Lo ami e lo odi, ti affascina e ti disgusta. Ma nel film non ci sono protagonisti e antagonisti, c’è l’ambiguità di tutti, compresa quella della androide, della duplicità femminile, della femme fatale che usa la sensualità per ottenere dagli uomini ciò che vuole. Io comunque parteggio da sempre per “Ava”, intrappolata in una scatola di vetro mentre riceve indicazioni dal mondo esterno. Per me non è una donna o un uomo, è un individuo, e sceglierà quale genere conferirsi. Il film riguarda la coscienza di sé, non la forma esterna».
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