Lo showbusiness dei buoni - quanto sono para-guri le superstar milionarie di hollywood, da george clooney alla jolie

17 mar 2012 09:48

1- TERZOMONDISMO DEI PARA-GURI
Massimo Gaggi per "il Corriere della Sera" - 17-2-2012

Â«Da sincero anticolonialista quale sicuramente Ã¨, Sean Penn si sbrighi a restituire al popolo messicano la sua lussuosa tenuta di MalibÃ¹: la sua occupazione di un terreno che Ã¨ stato sottratto dagli Stati Uniti al Messico con un'aggressione spietata e imperialista Ã¨ inaccettabileÂ». Quella del Daily Telegraph Ã¨ la piÃ¹ ironica e anche una delle piÃ¹ pacate tra le reazioni britanniche alle sortite dell'attore americano a favore delle rivendicazioni di Buenos Aires sulle isole Falklands.
Â«Le Malvinas sono argentineÂ» ha detto giorni fa, incontrando nella capitale sudamericana il presidente Cristina Kirchner. Â«Londra accetti di negoziare davanti all'Onu. Il mondo trova ormai intollerabili simili manifestazioni di colonialismo ridicolo e arcaicoÂ».

Davanti alla reazione furente dell'opinione pubblica e della stampa britannica che l'hanno accusato di giustificare una guerra a suo tempo scatenata da una giunta militare contro un pezzo di territorio legittimamente posseduto da una democrazia liberale, il protagonista di Â«Dead Man WalkingÂ», Â«Mystic RiverÂ» e Â«MilkÂ», un premio Oscar noto per le sue posizioni radicali, ha rincarato la dose: se l'Ã¨ presa con la stampa (Â«il buon giornalismo salva il mondo, quello cattivo lo distruggeÂ») e col principe William, definendo la sua presenza nell'arcipelago dell'Atlantico meridionale (dov'Ã¨ in servizio come pilota dei velivoli di soccorso) una Â«gratuita provocazioneÂ».

Nel mondo del cinema gli attori e i registi che sposano cause di estrema sinistra - personaggi a volte etichettati come Â«radical-chicÂ» - sono molti. Di polemiche contro le Â«starÂ» che inneggiano al riscatto del proletariato dalle loro mega-ville a Cortina, in passato ne abbiamo viste molte anche in Italia. Negli Usa c'Ã¨, perÃ², un piccolo drappello di artisti che, oltre a chiedere piÃ¹ giustizia sociale in America, entrano Â«a gamba tesaÂ» sulla scena internazionale, spingendo il loro radicalismo fino a ignorare i presupposti di legalitÃ e perfino le condanne della comunitÃ internazionale.

Insieme a Penn, in questi giorni a offrire ai giornali titoli da prima pagine ci sono Oliver Stone e suo figlio Sean, che si Ã¨ appena convertito all'Islam sciita in una moschea di Isfahan. Sean, che ha da poco realizzato un documentario sulla vita e la cultura iraniana e che starebbe preparando il terreno per un film del padre su Ahmadinejad (Oliver dovrebbe arrivare presto a Teheran), era noto da tempo per le sue posizioni negazioniste sull'Olocausto e per aver messo in discussione la legittimitÃ dello Stato di Israele.

Ora si spinge ancora piÃ¹ in lÃ , sostenendo la piena legittimitÃ del programma nucleare iraniano anche nella sua parte militare. Quella delle conversioni non Ã¨ una storia nuova nella famiglia Stone: Oliver, ebreo in gioventÃ¹, Ã¨ diventato poi un cristiano episcopale per poi approdare al buddismo.

E il figlio ora musulmano che ha cambiato il nome in Sean AlÃ¬, sostiene di non aver ripudiato cristianesimo ed ebraismo. Ora, perÃ², si comporta soprattutto da seguace del presidente Ahmadinejad che lo ha premiato per il suo cortometraggio e ha partecipato con lui a Teheran a un convegno sull'Â«hollywoodismoÂ» come fattore di degenerazione culturale.

Da George Clooney ad Angelina Jolie, di attori Â«liberalÂ» impegnati nel sociale e che sostengono le cause dei popoli che considerano oppressi, ce ne sono molti. Personaggi ammirati che conducono battaglie spesso nobili e, comunque, sempre legittime. Ci sono, poi, i militanti sempre pronti a prendere posizioni di rottura come Jonathan Demme, il regista del Â«Silenzio degli innocentiÂ» e di Â«PhiladelphiaÂ» che ha fatto molto discutere col suo documentario sulla questione palestinese Â«Jimmy Carter, Man from PlainsÂ».

Ma solo Stone, Penn e Michael Moore hanno portato il loro radicalismo fino al punto di raccontare storie in modo totalmente unilaterale. Dalla Cuba Â«paradisoÂ» della sanitÃ pubblica di Moore al regista di Â«PlatoonÂ» e Â«Nato il 4 luglioÂ» che Ã¨ addirittura arrivato a rifiutarsi di ascoltare le voci dei dissidenti quando, con Â«A Sud del confineÂ», ha esaltato la figura del dittatore venezuelano Hugo ChÃ¡vez.

La Â«rinascita socialistaÂ» dell'America Latina narrata da Oliver Stone affascina anche Sean Penn, pure lui a suo agio tra Cuba, il Venezuela e la Bolivia di Evo Morales con quale si Ã¨ fatto ritrarre pochi giorni fa, un poncho sulle spalle e l'elmetto da minatore in testa.

Â«ChissÃ perchÃ© tanta gente dello spettacolo si fa incantare da dittatori che presentano le loro scelte come ragionevoli e inoffensiveÂ» si chiede la National Review, organo della destra intellettuale. Â«C'Ã¨ un termine per descrivere questo fenomeno: potemkinizzazione. Un processo al quale farÃ ora ricorso anche il regime cubano, in vista della visita del PapaÂ».

2- LO SHOWBUSINESS DEI BUONI
Maurizio Molinari per "la Stampa"

Campi profughi ad Haiti, bambini vittime della guerra in Congo, villaggi bombardati in Sudan e scuole nella foresta del Malawi o sulle colline di Johannesburg. Sono molti e diversi i fronti dell'impegno umanitario delle star di Hollywood, alternando successi a fallimenti in campagne che a volte sembrano essere in concorrenza fra loro, come avvenuto nelle ultime settimane con le parallele crociate di George Clooney e Angelina Jolie.

Ad Haiti uno dei campi profughi piÃ¹ estesi, visto che ospita oltre 55 mila anime, Ã¨ stato creato dopo il potente sisma del gennaio 2010 dall'Â«Haitian Relief OrganizationÂ» di Sean Penn che continua a mantenerlo con raccolte fondi annuali la cui importanza Ã¨ stata riconosciuta dal neopresidente Michel Martelly assegnando all'attore-regista il titolo di ambasciatore onorario.

L'ultimo assegno versato da Penn Ã¨ stato di cinque milioni di dollari e sebbene ad Haiti ci sia anche chi lo critica perchÃ© il campo profughi continua a estendersi anzichÃ© restringersi, i risultati umanitari in termini di accoglienza e cibo per chi ha perso tutto sono indubbi. Assai diversa invece la sorte di Â«Raising MalawiÂ», l'associazione fondata dalla pop star Madonna nel 2006 per sostenere l'educazione di migliaia di bambini profughi che nel marzo dello scorso anno dovette abbandonare il suo progetto piÃ¹ importante - la costruzione di una scuola per lo scandalo innescato dalle rivelazioni sulle spese facili, a troppi zeri, approvate dal consiglio direttivo.

La vicenda Ã¨ degenerata in una causa legale fra Â«Raising MalawiÂ» e chi avrebbe dovuto gestire la scuola, precipitando Madonna in una vicenda di sperperi e corruzione trasformatasi in un boomerang negativo in maniera analoga a quanto avvenuto a Oprah Winfrey, la star della tv americana che dal 2007 ha investito milioni di dollari nella costruzione di una scuola per ragazze in Sud Africa per poi essere obbligata a confessare Â«grande amarezzaÂ» di fronte ai ripetuti scandali di molestie sessuali che vi sono avvenuti, disseminando di particolari scabrosi le cronache di Johannesburg del 2011.

Se per Penn, Madonna e Winfrey le diverse sorti dei rispettivi progetti hanno probabilmente a vedere con chi ha gestito in loco i milioni di dollari elargiti da enti di beneficenza umanitari americani, la sfida a distanza fra George Clooney e Angelina Jolie Ã¨ invece di tutt'altra natura perchÃ© si combatte sul terreno di conflitti armati ancora in svolgimento.

Angelina Jolie Ã¨ stata la prima ad impegnarsi su questo terreno. Forte del titolo di ambasciatrice onoraria dell'Alto commissariato dell'Onu per i rifugiati, che risale al 2001, Ã¨ stata protagonista di una raffica di missioni in Sudan, Ciad, Iraq, Afghanistan e Libia andando ovunque a testimoniare le sofferenze patite dai bambini con uno slancio che l'ha portata anche a fare sosta, lo scorso giugno, sull'isola di Lampedusa inondata da clandestini giunti dal Nordafrica.

Ma soprattutto nell'ultimo anno i fondi da lei raccolti sono andati a sostenere Â«Lubanga ChroniclesÂ» ovvero la campagna di informazione nella Repubblica Democratica del Congo sul processo contro il criminale di guerra Thomas Lubanga, colpevole di aver allevato generazioni di bambini-soldato spingendoli a commettere orrendi crimini nei confronti di civili residenti in regioni ricche di materie prime.

Jolie Ã¨ cosÃ¬ divenuta in Congo il volto della campagna anti-Lubanga e ha voluto essere presente all'Aja quando, tre giorni fa, il Tribunale penale internazionale ha emesso nei suoi confronti la prima condanna. In questa maniera l'attrice ha attestato di essere una delle vincitrici della battaglia legale incassando un risultato, sul piano dell'immagine pubblica, che nessun'altra star di Hollywood Ã¨ in grado di vantare.

Quasi in simultanea con il successo di Jolie in Congo, Clooney Ã¨ tornato a New York dal Sudan portando i video sui bombardamenti dei civili nel Sud da parte dell'esercito del presidente Omar Bashir al fine di scuotere l'America sugli Â«orrori di cui neanche Al Jazeera parlaÂ».

Se finora altre stelle di Hollywood, come Mia Farrow, si erano battute contro il genocidio in Darfur, Clooney va oltre affermando che Â«in Sudan il problema Ã¨ piÃ¹ vasto perchÃ© sono molte le regioni dove i civili sono vittime di crimini di guerraÂ». Se Jolie Ã¨ riuscita a far condannare Lubanga, Clooney vuole spingere la comunitÃ internazionale a rovesciare il regime di Omar Bashir.