DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Stefania Vitulli per www.ilgiornale.it
Assistere a un nuovo spettacolo di Eimuntas Nekrosius - il regista teatrale lituano scomparso nella notte di ieri, che avrebbe compiuto proprio oggi 66 anni significava avere un appuntamento certo con una grande emozione.
Da sentire nel corpo, prima di tutto, e che solo dopo molto tempo sarebbe diventata un'emozione cui dare un significato razionale. Gli attori di Nekrosius, plasmati dalla sua mano e dal suo occhio, diventavano tutti energia narrativa sommata a un tempo essenziale e illimitato. Più vasto, e più primitivo, di un'intera era geologica. Il corpo stesso di Nekrosius, i suoi occhi senza confine, la sua altezza incredibile, la sua testa nuda erano teatro, per il solo fatto di esistere. Il suo primo spettacolo, Pirosmani, Pirosmani, del 1984, non è mai sparito dalla memoria di chi vi ha assistito: si è solo aggiunto al diario delle performance che, con la sua direzione, hanno dato una spallata prima di tutto a un paralitico teatro europeo.
Studiò a Mosca, all'Istituto Lunarski. Diresse per anni, a Vilnius, il Teatro dei Giovani. Sempre ai giovani pensò quando arrivò in Italia nel 2000 a fare l'esperienza dell'Ecole de Maitre, diretta allora da Franco Quadri, esperienza che si trasformò poi in un purissimo, irripetibile Gabbiano. Le sue attività didattiche, come le sue direzioni liriche - in Italia: a Matera, a Napoli, a Vicenza, a Venezia non si contano. Sempre a Vilnius fondò il suo teatro, il Meno Fortas, un nome che negli ultimi 20 anni ha significato riconsiderare Cechov e Shakespeare soprattutto sotto una luce altra, lunare, circense, forse, come ricorda la critica, colta.
O, semplicemente, fisica e poetica insieme, vicina all'essenza di ciò che l'umano, nei capolavori, cerca: una temporanea immortalità. Premio Ubu in Italia per 4 volte, Premio Stanislavskij in Russia nel 2001, Nekrosius ha introdotto nelle sue regie immagini travolgenti per la loro novità eppure così ancestrali da risultare misteriosamente familiari: il lampadario di ghiaccio che si scioglie in Amleto, le camicie bianche crocifisse nel Macbeth, la rincorsa sulle sedie in Otello. Negli ultimi tempi lavorava ancora per Napoli a un Edipo a Colono, così come all'eredità da lasciare al suo laboratorio del Napoli Teatro Festival: «In teatro, o almeno nel teatro che faccio io, si rischia fisicamente», ebbe occasione di dire. «Per questo ci vogliono dei corpi sani sulla scena, pieni di energia».
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