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Martina Pennisi per il “Corriere della Sera”
Ha quindici anni, forse sedici. È appena uscito da scuola. Sigaretta fra indice e medio di una mano e smartphone nell’altra. Mostra a un giornalista di una dozzina di anni più di lui, armato di telecamera, come funziona Snapchat.
Scatta la foto di un motorino, si accorge che si vede la targa e con un’abile danza di polpastrelli la copre un «ghirigoro» rosso. Poi salva la foto, la pubblica e si volta soddisfatto verso l’obiettivo. Pochi secondi, la consapevolezza che una informazione sensibile non può andare in video — abbastanza inusuale per la sua età — e un paio di rapide mosse assestate in varie direzioni: ecco la generazione degli «snapchatter».
Era dalla diffusione massiccia degli schermi touch, attribuibile all’irruzione dell’iPhone del 2007, che una novità tecnologica non creava un tale solco generazionale. Fra, nello specifico, i cosiddetti Millennials. Perché Snapchat non mette in crisi solo i genitori abituatisi non senza qualche difficoltà ai vari Facebook e WhatsApp, ma è ostico anche per i nati negli anni 80.
Il motivo è chiaro a chiunque provi a scaricare l’app lanciata nel 2011 da tre studenti di Stanford e valutata 16 miliardi di dollari — alla faccia di Mark Zuckerberg che nel 2013 ha provato a comprarla per 3 miliardi —: su Snapchat non basta far scorrere il polpastrello in verticale e premerlo sul comando di nostro interesse, come accade tradizionalmente.
L’iconcina per iOs e Android ci accoglie con l’obiettivo della fotocamera spalancato senza dare indicazioni evidenti in direzione delle rassicuranti liste di contatti o del flusso di aggiornamenti altrui. Armandosi di pazienza, muovendosi in verticale, orizzontale e rassegnandosi al fatto che iniziare a esplorare contenuti è molto più facile che smettere di farlo, si entra poi in un universo particolare. A partire dalla definizione.
sarah mcdanie reginetta di snapchat
Semplificando (molto), Snapchat è un incrocio fra WhatsApp e Facebook: come l’app verde, è collegata al numero di telefono e permette di iniziare a comunicare e scambiare contenuti con i propri contatti approfittando della Rete. Come il social network di Zuckerberg, consente di “raccontarsi” con aggiornamenti che compaiono nel flusso di amici, parenti e seguaci. Ma c’è di più.
A partire dalla caducità di quanto pubblicato. Se i primi social network hanno irretito i nati negli 80 con la promessa di un quarto d’ora di celebrità — trasformatosi poi alle 2 ore al giorno dedicate a like, tag e ansia notifiche — Snapchat sta facendo recuperare ai ragazzini il piacere della condivisione un po’ più libera dall’ostentazione. La foto o il video buffi, o semplicemente brutti. E, inutile negarlo, anche quelli compromettenti, si autodistruggono dopo dieci secondi.
Gli aggiornamenti destinati a tutti i propri contatti — le Storie — arrivano a 24 ore, sollevando comunque dalla sensazione di essere impegnati nella costruzione di un’immagine destinata a rimanere scolpita in eterno nel web. Questo è il “cosa”. Il “come” è altrettanto caratteristico e determinante.
La costruzione dei contenuti, gli Snap, è all’insegna dell’immediatezza e della giocosa creatività. Ci sono filtri per rendere gli scatti o i filmati più simpatici e ricchi di informazioni. Ci si applica sopracciglia finte, ci si fa un selfie “scambiandosi” il volto con la persona che si ha fianco, si inserisce a posteriori un testo o una emoticon o si aggiunge l’informazione relativa al posto in cui ci si trova. Velocemente.
una delle foto inviate dalla ragazza
«Forse troppo?», si interroga il neuroscienziato e presidente dell’Accademia dei Lincei Lamberto Maffei: «Si sta tornando al linguaggio dell’immagine, che ha i suoi vantaggi perché aumenta la rapidità della comunicazione, ma il rischio è di arrivare a una variazione del comportamento verso decisioni non calibrate. È tutto hic et nunc, si sta perdendo l’abitudine alla riflessione e al pensare al domani».
snapchat il futuro dei social media
Effettivamente è così: su Snapchat si gioca. In alcuni casi, però, lo si fa molto seriamente con le Storie, composte dai singoli aggiornamenti pubblicati nell’arco della giornata e visualizzabili dagli altri in un’unica sequenza, che arrivano a essere molto elaborate e impattanti. E piacciono e vengono create da 100 milioni di utenti in tutto il mondo, con una crescita nei nostri confini del 151% nell’ultimo anno.
Ecco perché editori come Cnn o National Geographic stanno popolando la sezione Discover con contenuti realizzati ad hoc. Per Buzzfeed è la fonte del 21% del traffico. Una percentuale enorme. A tendere si tratta di un investimento importante: essendo, ci si augura, gli «snapchatter» gli affamati consumatori di notizie del futuro. Stesso discorso per le aziende, pronte a invadere gli spazi pubblicitari. Qualcuno che pensa al domani, insomma, c’è.
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