DAGOREPORT - PER RISOLVERE LA FACCENDA ALMASRI ERA SUFFICIENTE METTERE SUBITO IL SEGRETO DI STATO E…
Pino Corrias per "Il Fatto quotidiano"
E meno male che esistono i soprannomi. Lanciabili come (non innocue) lattine di vernice fosforescente contro questa arrogante, insonne, spesso ignorante masnada di maschere ribattezzate Er Mascella, Il Gobbo, Lo Squalo, che poi sono uomini sovralimentati da vertigini d’arbitrio, che vorrebbero rendersi invisibili nella loro seconda occupazione – di solito la principale – che tante volte il soprannome svela.
Quella di triturare le leggi, i territori e il buon senso sulla nostra pelle, ma sempre fischiettando un motivetto d’ideali che ci tenga buoni mentre loro distribuiscono veleno etico e sociale, arraffano poltrone, regalano sanatorie, pretendono medaglie d’Onorevole e vitalizi in euro.
Come ciascun popolo che li mantiene sa o dovrebbe sapere. Popolo bue, d’accordo. Ma che almeno ogni tanto si toglie lo sfizio di chiamarli con il loro vero nome, cioè il soprannome. Tanto per dire: va bene, ci state coglionando con l’amor di patria, l’inno incantabile e i valori condivisi, ma noi almeno stavolta vi abbiamo sgamato, sappiamo chi siete. Scriveva il colto Longanesi: “Non sono le idee che mi spaventano, ma le facce”.
Così ecco spuntare – dall’apoteosi di un intero ventennio di mignotte, miracolati e bugie - un disgraziatissimo Berluscaz che per due dozzine di tristi scopate a pagamento si gioca l’onore e l’intera corona. E poi quel bocconiano austero, Rigor Montis, che si pettinò tutta una vita davanti al suo specchio d’allori, ma che quando toccò a lui comandare sulle nostre vite per quei 15 minuti di potere che ormai non si negano a nessuno – tanto sono sempre le banche centrali a comandare - lasciò macerie umane e contabili dietro le spalle, più le lacrime a perdere di una ministra Cuorinfranti che a forza di calcolare pensioni per finta, dimenticò il dettaglio di un mezzo milione di esodati veri, in carne, ossa e famiglie. O così ci lascio credere, il che sarebbe pure peggio.
ROBERTO D'AGOSTINO CON L ERMAFRODITO
Ai sorprendenti tempi di Mani Pulite, oltre a tanta sovreccitata confusione d’arresti e confessioni, si aggiunse l’euforia dei soprannomi. Sbocciata dopo anni di frustrazioni redazionali, timori reverenziali e obbedienza silente, quando ancora tutti (quasi tutti) facevano finta di ridere alle battute di Andreotti, detto il Divo, detto Zio Giulio, detto Belzebù, eccitanti come mentine in sagrestia.
Tra i più svelti il solito Vittorio Feltri, re degli opportunisti, che intuito il momentaneo liberi tutti, saltò al collo del povero Bottino Craxi per trascinarlo davanti alle acque tristi di Hammamet, guardarlo annegare e poi rammaricarsene coi figli e con l’erede. Giampaolo Pansa, da quelle anime cupe, estrasse una intera zoologia e uno stile, ammirandone da lontano il naufragio che ha rallentato il suo. Guzzanti Paolo addirittura un laticlavio, prima incensando e poi bestemmiando l’identico Di Pietro.
Di questa nuova e tragica Commedia che nel frattempo è diventata la Seconda Repubblica, il sommo poeta è Roberto D’Agostino, con il suo sito Dagospia nato da molte insofferenze all’eterno conformismo dei cartacei e da una censura: s’azzardò a scrivere che l’avvocato Agnelli “porta sfiga”, apriti cielo, non si fa, non si dice.
Addestrato dalla palestra delle notti romane passate tra cinematografari, perdigiorno, musicisti e Arbore che facevano gare di soprannomi – Sergio Leone detto Francis Ford Caccola era il più bello – e poi dall’estensione di un enciclopedico “Chi è, chi non è, chi si crede di essere” (Mondadori), D’Agostino ha perfezionato gli inchiostri al punto da riassumere una intera biografia in un soprannome e il soprannome in un destino.
Pierfurby – riferito all’Azzurro Casini – è maestria di sintesi educata, mentre Ruby Rubacazzi – riferito alla bimba arcoriana – è il suo corrispettivo d’alta d’efficacia, sebbene in versione opportunamente triviale. Identico binomio di stile per la new entry dell’anno, rinominato contemporaneamente Pittibimbo e il Tosco Cazzaro. Per poi scendere ai gironi più bassi dove ancora s’aggira la Santadechè con così tanti tacchi da far rumore anche quando non cammina, tra le macerie di Manicomio Italia, i Sinistrati, i Grillomaoisti, gli Scilipoti, la Boldrinova e Bella Napoli che sovrintende lassù, sul Colle.
LE SCIARPE DI DIEGO DELLA VALLE
Ma sì, meno male che esistono i soprannomi contro la noia. Ovvio che i cerchiobottisti, gli autorevoli soloni e i pompieri di pronto intervento non li amino, giudicandoli così infantili, così poco educati e in fondo anche disdicevoli. Ma c’è da capirli. La loro fervente disponibilità a prendere la masnada dei politici sul serio e a trattarla con amichevole deferenza, presuppone (sempre) quella promessa di reciprocità che è il più prezioso dei loro desideri. Essere almeno un po’ ricambiati. Magari con un seggio, oppure la poltroncina in una fondazione tascabile, o almeno una meringa a Natale. Sono mogi, sono grigi, sono ligi, ma non se lo dicono. E tra loro si stimano.
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