DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Aldo Fontanarosa per "la Repubblica"
A 8 mesi dalla fine del suo mandato, il vertice Rai apre la madre di tutte le questioni. Nel mirino di Viale Mazzini finiscono i produttori esterni di film, fiction e show televisivi; il loro strapotere contrattuale; le superfatture di pagamento che inviano avidi alla tv di Stato.
Il cantiere di lavoro, tra i più complicati, verrà aperto già a settembre. Come conferma Antonio Pilati, consigliere della Rai: «Prima del rompete le righe estivo, abbiamo stilato un bilancio della nostra attività.
I conti aziendali sono in ordine, malgrado tempeste di ogni tipo. Redazioni di punta come Tg1, Tg3 e RaiNews 24», aggiunge, «lavorano con gli strumenti del digitale; il piano di riforma dell’informazione è già partito. A questo punto, proveremo a scalare l’ultima montagna». Quella degli appalti esterni, da ridurre, e delle fabbriche produttive interne, tutte da rilanciare.
Nelle prime riunioni informali, a fine luglio, il vertice Rai ha già individuato le principali criticità: «Per tante, troppe sere — spiega Pilati — noi serviamo sulla tavola degli italiani del caviale. Una portata sofisticata e costosa, che non possiamo più permetterci». Prendete, ad esempio, RaiUno. Nei palinsesti della nuova stagione tv, la Prima Rete arriva a proporre una serata di informazione o di sport; due serate d’intrattenimento e ben quattro di fiction.
Il caviale, appunto, lo champagne. Si tratta di serie tv di medio-alto livello che la televisione di Stato paga a un prezzo elevato. Andrebbero centellinate, invece se ne abusa. A partire dalla stagione 2015-2016, almeno una serata di fiction andrà eliminata («riavvicinando la Rai agli standard delle altre emittenti pubbliche europee »), per fare posto a produzioni (interne) di informazione o spettacolo.
Un primo documento di lavoro conferma, poi, un problema storico del gigante Rai. C’è scritto che le «diverse aree aziendali lavorano a compartimenti separati. Ciascuna funzione rimane focalizzata sul perimetro di attività», andando solitaria per la propria strada. E il virus dell’individualismo avrebbe colpito, ad esempio, Rai Cinema.
Brava a produrre pellicole che spopolano nei Festival e al botteghino (come il Leone d’Oro “Sacro Gra”), Rai Cinema sarebbe lenta a capire le esigenze delle reti. Ne è convinto il vertice di RaiUno che ha formulato questa critica presentando ai consiglieri il nuovo palinsesto.
Quando il canale principe di Viale Mazzini cerca un film da trasmettere, tra quelli che RaiCinema produce o acquista, fatica a trovarne di congeniali alla propria linea editoriale. Dice il consigliere Pilati: «Bisogna rompere la stagione del non dialogo e creare un luogo dove RaiCinema e RaiFiction si confrontino con le reti storiche e i nuovi canali del digitale. Il dialogo dovrà essere continuo, costruttivo e portare ad acquisti e produzioni pienamente funzionali alla messa in onda».
Viale Mazzini, dunque, si rifugia in prodotti pronti “chiavi in mano” (come le fiction dall’ascolto garantito). E non sempre confeziona opere su misura per le sue reti e i canali. È un doppio errore — pensa l’attuale vertice — che apre un’autostrada ai produttori esterni, scaltri ad offrire soluzioni immediate ad un’azienda pachidermica. Ma il loro strapotere va fermato.
A febbraio, la Corte dei Conti notava che la grande maggioranza dei dipendenti Rai è fatta di impiegati, impiegati di produzione, addetti alle riprese e alle regìe, tecnici, operai. Parliamo di 8.422 persone che andrebbero schierate nelle fabbriche interne, per confezionare prodotti d’eccellenza. «Assegnare molti appalti esterni pur disponendo di così tanti dipendenti è una disfunzionalità che non regge più», avverte Pilati.
I punti deboli della Rai si inseriscono peraltro in uno scenario internazionale sempre più intricato. Sky Italia è finita nella pancia della consorella inglese BskyB e adesso è pronta ad aumentare l’offerta di serie tv tra le più amate al mondo. La stessa Mediaset si rafforza grazie all’ingresso della spagnola Telefònica nel capitale della sua pay-tv “Premium”.
«E ci sono colossi come Amazon, Google, Netflix che si fanno largo grazie alla Rete, con spregiudicatezza e velocità a noi sconosciute. In un simile quadro la Rai deve cambiare con urgenza», avverte Pilati, «pena la condanna a un ruolo sempre meno centrale».
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