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1 - DA SANTO A TIRANNO IN UN SOLO MESE...
Da "La Stampa" - A un mese dalla morte (5 ottobre 2011) Steve Jobs è stato ricordato anche dalla prima fidanzata, Chrisann Brennan. Ma nello spazio di poche settimane, sui media Usa, il mito costruito intorno alla figura del fondatore di Apple è passato dall'agiografia alla critica aperta e la sua figura si è ribaltata da quella del santo a quella del tiranno.
A intaccare l'immagine postuma del «guru di Cupertino» sono state le rivelazioni sulla sua vita privata, sui metodi di lavoro e sul rapporto con i dipendenti, che hanno cominciato a circolare sul web e sui social network. Dalle definizioni di «genio assoluto», «rivoluzionario» e «visionario» si è passati a «diavolo», «avido amministratore», «sociopatico». E dire che, a giudicare dai primi panegirici sulle più prestigiose testate Usa, sembrava potesse essere il «primo uomo dell'anno, postumo» di «Time». Ma, nell'era digitale, gli altarini si scoprono forse troppo in fretta.
2- "THE LOST INTERVIEW", IL FILM CON L'INTERVISTA INTEGRALE DEL 1995 CHE NON Ã MAI ANDATA IN ONDA: "PRENDEMMO L'IDEA DI USARE LE ICONE DAL SISTEMA OPERATIVO DELLA XEROX"
Da "Wired USA" - http://www.wired.com/underwire/2011/11/steve-jobs-lost-interview/#more-84988
3 - "ERA ROMANTICO IL MIO STEVE UN POETA BEAT DI 17 ANNI" LA PRIMA FIDANZATA DI JOBS RACCONTA GLI ANNI DELLA CONVIVENZA AL COLLEGE
Chrisann Brennan è stata la prima relazione seria per Jobs. Si sono conosciuti al college quando Steve era all'ultimo anno e Chrisann una matricola e si sono presi e lasciati fino a quando Chrisann ha dato alla luce la loro figlia, Lisa Brennan-Jobs, nel maggio 1978.
Chrisann Brennan per "La Stampa" Traduzione di Carla Reschia
Steve aveva una sorta di spigolosa insicurezza, era impulsivo, longilineo e scattante. Appena incontrati c'innamorammo e stavamo insieme da tre mesi quando decidemmo di vivere insieme, nell'estate nel 1972. Gli anni Settanta ci davano qualche libertà e le altre ce le prendemmo.
Cercai sul tabellone del college e trovai una camera in un bungalow ma quando chiamai il tipo che l'affittava, uno studente di cinema alla San José State sui 25 anni, mi disse che era davvero dispiaciuto, non aveva spazio sufficiente per una coppia. Più tardi, quando lo dissi a Steve lui chiamò e la ebbe. Questo mi fece capire che c'era qualcosa di straordinario in lui. Questo ragazzo potrebbe far funzionare le cose. E dal modo in cui aveva preso il controllo della situazione, capii che lo sapeva anche lui.
Quel fine settimana con la piccola auto sportiva arancione di Steve arrivammo fino a quella che era letteralmente l'ultima casa su Stevens Canyon Road a Cupertino, in California, per vedere il posto.
Il bungalow era ammuffito ma ordinato e affascinante, e molto lontano dalla monocultura mortificante della periferia americana che avevamo appena visto. Felici, ci accordammo per trasferirci lì entro due settimane.
Steve appese un poster di Bob Dylan sopra al nostro letto, e ogni sera accendevamo la lampada a petrolio della mia bisnonna e ci reputavamo fortunati ad avere così tanto. In quel tempo che apparteneva ancora alla sua infanzia, Steve era romantico al 100 per cento. Mi diceva che facevano parte di un gruppo di poeti e visionari che chiamava «la congrega del campo di grano» e che insieme, dalla finestra, potevamo vedere il mondo intero. Non sapevo di cosa stesse parlando, ma desideravo vedere le cose in quel modo con tutto il cuore.
Molte notti ci sedevamo con Al, il nostro compagno di stanza, a guardare i film che aveva preso alla libreria della San José State. A quel tempo, guardare film a casa sembrava una stravaganza deliziosamente lussuosa ed esclusiva, una sensazione di intimità , pochi amici e il ticchettare della bobina del proiettore. Spesso dopo le 21,30 non riuscivo a tenere gli occhi aperti e me ne andavo a dormire mentre Steve rimaneva alzato, il più delle volte a scrivere poesie.
Nel cuore della notte sentivo il rumore della sua macchina da scrivere elettrica. Rielaborava le canzoni di Dylan, le personalizzava per se stesso, o per noi, o per me.
Un giorno affisse alla porta d'ingresso una di queste poesie: «Mamma, Please Stay Out» (Mamma, per favore stattene fuori di qui), una rielaborazione di «To Ramona».
Era una risposta alla sconcertante cattiveria di mia madre verso di me e al suo disagio perché me n'ero andata di casa. L'aveva scritto in una sorta di furia silenziosa dopo che lei era stata in casa quando lui non c'era. Più o meno mi ricordo come andò. In parte era indirizzata a mia madre. . . «Così pensi di conoscere noi e il nostro dolore, ma conoscere il dolore significa risvegliare i propri sensi».
Altre parti erano per me: «Vedo che la tua testa. . . è stata distorta e nutrita. . . da inutile schiuma dalla bocca. . . » Dentro di me disprezzavo quel suo modo di rifare Dylan e mi sentivo insultata dalle sue affermazioni sulle condizioni della mia testa. Quello che vedevo erano un sacco di canzoni di Bob Dylan con qualche piccola modifica.
Non riuscivo a capire perché proprio lui, tra tanti, non potesse scrivere in modo più originale. Solo adesso vedo che cosa stesse cercando di fare. Era un solitario e non parlava molto, penso che abbia usato le canzoni di Dylan per descrivere il suo mondo.
Avevamo pochi soldi e nessuna prospettiva in vista. Una sera dopo che ci eravamo dati alla pazza gioia, cena e un film, tornammo alla nostra macchina e scoprimmo che il conto del parcheggio ammontava a 25 dollari. Ero disperata ma Steve non sembrava preoccupato. Aveva un oceano di pazienza a cui attingere quando si trattava di scoraggiamenti. Guidammo lungo l'oceano vicino a Crissy Field a San Francisco e camminammo sulla spiaggia per vedere il tramonto, e lì cominciai a parlare delle mie preoccupazioni finanziarie. Mi rivolse un lungo sguardo esasperato, si frugò nella tasca, prese le ultime monete e i pochi dollari che avevamo e li gettò in mare.Tutti.
L'audacia e la purezza dell'atto eclissarono tutto il resto. Questo era il vero poeta, non la persona che tirava tardi la notte per riscrivere i testi di Dylan.
A 17 anni, Steve aveva molto del raffinato distacco di un poeta Beat. Ã come se il futuro della tecnologia, per Steve, affondasse le sue radici nella poesia Beat.
Più tardi quell'estate, io, Steve, Al e Woz, che pochi anni dopo sarebbe diventato socio di Steve nella nascita della Apple, trovammo un lavoro interpretando i personaggi di Alice nel paese delle meraviglie in un centro commerciale a Santa Clara. Ci davano 250 dollari ciascuno per due giorni di lavoro e a quel tempo erano un sacco di soldi. Io ero Alice, e i ragazzi, a turno, erano il Cappellaio Matto e il Coniglio Bianco.
I tre non potevano essere riconosciuti perché indossavano queste teste enormi che arrivavano alle ginocchia. Il tempo era afoso quel fine settimana e l'impianto d'aria condizionata del centro commerciale era rotto - i ragazzi riuscivano a malapena a sopportare il costume per 10 minuti e così ogni 10 minuti si precipitavano negli spogliatoi, si toglievano le teste e bevevano un po' d'acqua. Era doloroso da vedere, ma anche divertente.
Gettando uno sguardo all'indietro, sembra così bizzarro e appropriato - le grandi teste e la bambina caduta in un buco lasciavano presagire il futuro come null'altro avrebbe potuto.
Alla luce di ciò che è venuto dopo, e al piglio troppo spesso dispotico assunto da Steve quando sorse per incontrare il mondo, penso che sarebbe bello poter confezionare i miei ricordi in forma di una favola, qualcosa di morbido e luminoso su cui riflettere prima di rimuoverlo e chiudere la graziosa copertina del libro.
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