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Renato Franco per "www.corriere.it"
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«Comincia per noi l’ultima settimana di conduzione di Striscia che però sarà anche l’ultimo anno di Striscia». La sorpresa arriva così, di botto, sul finire della puntata di lunedì sera: Ficarra e Picone hanno annunciato che la loro esperienza nel tg satirico di Canale 5 è giunta ai saluti finali.
Cosa vi ha spinto a questo salto?
«Sono trascorsi 15 anni, nel nostro lavoro ogni tanto ci sta di rimescolare le carte. Era venuto il momento. È una scelta ponderata, che non è arrivata all’improvviso».
Chi tra di voi ha rotto per primo il tabù di parlarne con l’altro?
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«È una decisone che è nata e cresciuta nel tempo, come quando scrivi un film o uno sketch per la televisione: alla fine ti dimentichi chi ha avuto l’idea o ha cominciato a parlarne. Ne discutevamo tra di noi e poi ha preso sempre più forma, con leggerezza, tranquillità e già un briciolo di nostalgia che ci pervade».
Antonio Ricci cosa vi ha detto?
«È dispiaciuto quanto noi, ma ha compreso la scelta. Antonio ci ha fatto sentire fin dal primo giorno che Striscia non era casa sua, ma anche casa nostra. Ci ha fatto sentire sempre importanti. Anche umanamente. È sempre stato presente ai nostri debutti teatrali, è venuto a Siracusa per la prima delle Rane di Aristofane, c’era sempre alle prime dei nostri film. Ci ha fatto sentire della famiglia».
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Mai uno scontro con lui?
«Mai. Tra di noi c’è sempre stato un confronto aperto, libero, sincero, tranquillo, sereno. Ci ha regalato una grandissima opportunità».
A volte era lui a invitarvi a fare battute più cattive di quelle che avevate pensato...
«La cosa incredibile è proprio questa, di norma si potrebbe avere il problema inverso: tu vuoi dire qualcosa e c’è qualcuno che ti frena. A Striscia con Antonio era proprio il contrario. Antonio è rimasto un ragazzino incosciente e dispettoso».
Cos’è per voi «Striscia?
«Abbiamo sempre inteso Striscia come una repubblica-indipendente dove un gruppo di persone lavora indefessamente per produrre un programma che va in onda ogni giorno, facendo un lavoro immane. Noi ci siamo sempre rivolti agli spettatori chiamandoli cittadini di Striscia, ancora prima che ce lo copiasse Grillo».
Un’immagine per riassumere questi 15 anni di Striscia?
Picone: «Credo che per tutti gli italiani ma per noi siciliani in particolare aver visto Stefania Petyx andare a suonare il campanello della famiglia Riina a Corleone per chiedere spiegazioni sul risarcimento danni che avevano chiesto sia stata una pagina di televisione e impegno civile importante. Lì c’è tutta l’anima più bella di Striscia».
Ficarra: «Mi viene in mente quando abbiamo fatto come un vero telegiornale, dando noi per primi in diretta il risultato delle elezioni dell’ultimo scontro tra Prodi e Berlusconi che era sul filo di lana. I tg avevano chiuso senza la certezza dell’esito e noi fummo i primi a darlo».
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Con il senno di poi quale puntata vorreste riassaporare oggi?
«La prima. Tutta quella prima settimana fu incredibile. Eravamo andati da Antonio per dirgli che non potevamo fare Striscia, perché avevamo in corso una tournée e avevamo tutte le date piene. Lo abbiamo incontrato consapevoli che non avevamo lo spazio per farlo. Ci chiese il calendario. Vide una settimana a Genova e decise di registrare la trasmissione un’ora prima per consentirci di andare a il Liguria a fare lo spettacolo. Poi alle tre di notte tornavamo a Milano. Abbiamo fatto tutta la settimana così. Assurda».
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Rai1 aveva trasmesso come evento speciale la vostra interpretazione delle «Rane» di Aristofane, mentre con Mediaset non avete mai messo in piedi nulla. C’è un po’ di dispiacere? Vi aspettavate qualcosa di più?
«Il nostro compito è avere delle idee e proporle. Poi sta al nostro agente cercare gli interlocutori. Noi pensiamo solo a fare gli artisti».
La tv regala più spettatori di cinema e teatro. Lunedì sera c’erano 4 milioni e 700mila spettatori davanti alla tv. Non avete paura di perdere una vetrina così importante?
«Sicuramente sappiamo che Striscia ogni giorno è tra i primi programmi più visti della giornata, è una grande vetrina, una grande opportunità, ma adesso sentiamo il bisogni di cambiare. E poi le cose non sono belle solo perché le vedono tante persone, ci possono essere cose bellissime viste da pochi».
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I prossimi progetti?
«Al momento nessuno. È questa la cosa bella. Abbiamo il cassetto pieno di idee, progetti, sogni, il teatro è sicuramente una forma di espressione che ci piace tanto. Ma per il momento guardiamo il cassetto»
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