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Stefano Pistolini per “il Venerdì - la Repubblica”
Intitoliamo questa storia "all'inferno e ritorno". Perché il XXI secolo è qui da un pezzo, col suo bagaglio di tragedie ma anche di opportunità, ed è inutile far finta di non saperlo. Il discorso vale, ad esempio, quando si osservano le modalità espressive delle arti contemporanee, a cominciare da immagini e suoni. Il presente in questi scenari reclama un ruolo, attraverso le possibilità tecnologiche che offre ai produttori.
Perché, per dirne una, viviamo in un mondo nel quale la visualità è ormai regolata dalla computer graphic, dai giochetti di Photoshop e dalla capacità di plasmare la visione, ad esempio conseguendo qualsiasi necessario miglioramento estetico nell'immagine di un personaggio. E più o meno negli stessi corridoi, a fine Novecento, ha cominciato a circolare una diavoleria con un potere altrettanto stupefacente, ma stavolta parlando di musica, di suoni e del più prezioso di tutti: quello della voce umana.
L'arnese, inventato da tale Andy Hildebrand, ingegnere petrolifero col pallino della musica, è nato sotto forma di hardware, ma presto ha trovato applicazione tramutandosi in un plug-in, pronto a lavorare coi più famosi software utilizzati in tutti gli studi di registrazione. Si chiama Auto-Tune e la sua funzione è processare le fonti vocali, alterandole come desiderato, ad esempio attribuendo loro, artificialmente, la migliore intonazione possibile. La panacea per gli stonati, si è detto immediatamente.
O meglio: musica per tutti, perché non importa chi ci canti dentro, l'Auto-Tune sistema le cose, trasformandolo nella più implausibile voce bianca. All' inizio viene battezzato "effetto-Cher", perché nel '98 è lei a farne per prima uso in Believe, una hit mondiale. Mark Taylor e Brian Rawling, i produttori di Cher, provano a secretare il trucco, ma la verità salta fuori e di lì in poi l' utilizzo dell' Auto-Tune si diffonde a macchia d'olio.
La tentazione è troppo forte: chiunque così può presentarsi davanti a una platea con la sicurezza di non sbagliare una nota, anzi, di acchiapparne di impensabili (vero, Céline Dion?). Il mondo della musica Usa si spacca in due: da una parte chi non si fa scrupoli e affonda le canzoni nell' Auto-Tune - che diamine, si parla solo di pop songs! - lasciando che un semplice clic di mouse trasporti la voce esattamente dove avrebbe dovuto essere.
E poi c' è chi prende le difese della purezza, scendendo in campo al grido "basta con gli imbrogli!". Di fatto presto non c' è sala di registrazione e non c' è popstar che non ricorra all' Auto-Tune, dalla Madonna di Music (2000) a Britney Spears ogni volta che apre bocca, dai ritmici mugolii di Rihanna, alle celebrate stelle del country come Shania Twain o Tim McGraw, anche loro sedotti da questa rassicurante rete di sicurezza.
Tutti diventano perfetti. Anche il mondo dell' hip hop è sensibile alla novità, perché basta smanettare coi controlli dell' Auto-Tune, e s' intuisce subito come le sue capacità siano sconfinate, generando effetti inattesi, dal robotico al sintetico, dal fantasmatico al terrorista del gorgheggio. Kanye West impazzisce per l' Auto-Tune e il suo album 808s & Heartbreak (2008) ne diviene il manifesto e il grande veicolo promozionale.
Jay Z e Beyonce alla partita dei Nets
Jay-Z, bastian contrario, invece scende in campo contro: in D.O.A. (Death of Auto-Tune) predica la maligna banalità tentatrice dello strumento che rende omologhe tutte le voci. Il grosso del mercato, comunque, non guarda per il sottile: nuovi divi come Katy Perry e i Black Eyed Peas, veterani come Snoop Dogg e Lil' Wayne, ultras dell' Auto-Tune come T-Pain e Ke$ha, perfino i concorrenti di X Factor UK (per ammissione del deus ex machina Simon Cowell) tutti a darci dentro con quella che nel 2010 Time inserisce tra le «50 peggiori invenzioni della storia».
Ma c' è il secondo atto di questa storia: lo sdoganamento dell' Auto-Tune. Il merito è da attribuirsi a quella nutrita brigata di musicisti davvero "nativi digitali", ossia non arrivati a comporre con il computer dopo un apprendistato tradizionale, ma semplicemente nati dentro un laptop e i suoi software. Perché se sei James Blake o The Weeknd, Major Lazer o Drake, Justin Bieber o Childish Gambino e perfino se sei Fedez o Rovazzi, ci sei cresciuto tra vocoder, talk box e molto Auto-Tune. Ti sei fatto affascinare dall' uso della voce come sorgente di suono, ovvero come mezzo, prima che come fine.
E hai cominciato a tirare fuori sostanza musicale nuova, da uno strumento nato per riparare. Il 2016 è stato l' anno della consacrazione: l' Auto-Tune ha smesso d' essere il cattivo della compagnia, il Franti della musica, ed è diventato lo strumento più à la page, quello capace d' innovare e di attribuire un tocco futuribile al pop in ogni sua definizione, addirittura in grado di dare una spintarella a un concetto conservatore come quello del cantare (o del rappare, perché dopo 30 anni, anche nel rap è ora di cambiare).
Ora c' è J-Ax che dice che non sa fare a meno di queste scatolette, perché dentro ci vede la sua tamarragine. O c' è Drake che inventa un genere alla congiuzione tra pop e hip hop, proprio introducendo quel fattore destabilizzante del salmodiare artificiale realizzato con l' Auto-Tune. E infine s' arriva ad ascoltare il nuovo album di Justin Vernon, il più sofisticato e visionario dei musicisti indipendenti: 22, A Million, registrato col solito pseudonimo di Bon Iver. Ci si accorge che il magnifico falsetto di Vernon è filtrato, nota per nota (e poi elaborato, squinternato, estremizzato), usando in modo prodigiosamente creativo il filtro inventato solo per levare le stonature. Quel disco diventa il case history nella parabola dell' Auto-Tune.
E dischiude definitivamente le sue possibilità straordinarie, connettendo la voce umana e la macchina, la nostra natura fallibile e il flusso digitale. Perché ecco in che direzione va la musica oggi. Anche grazie a una macchinetta inventata con uno scopo, ma che ne cela altri, inattesi e più eclatanti. Come la penicillina, no? Nel frattempo, non appena l' accendiamo, dall' autoradio arrivano i segmentati singhiozzi dell' Auto-Tune. E noi, in un baleno, intravediamo il brivido d' essere dentro a Blade Runner.
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