DAGOREPORT - BERLUSCONI ALLA SCALA SI È VISTO UNA SOLA VOLTA, MA IL BERLUSCONISMO SÌ, E NON AVEVA…
Alberto Mattioli per “la Stampa”
Come molte storie dell’opera, non è allegra. Però questa è anche vera. A 62 anni, il tenore americano Chris Merritt, rimasto al verde, lancia un «crowdfunding», una colletta su Internet, per chiedere aiuto. Scrive: «Sono senza soldi per provvedere alle necessità basiche come spostamenti, alloggio e cibo né posso pagare le bollette del telefono, dell’acqua o l’assicurazione sanitaria».
Tristissimo. Però, a sei giorni dal primo appello, alle 20 di ieri sul sito www.gofundme.com c’erano già 112 donatori che avevano raccolto 11.817 euro. Insomma, finché c’è il web c’è speranza.
Merritt è stato un big, in tutti i sensi. Nato a Oklahoma City 62 anni fa, faceva parte di una grande generazione di cantanti del Nuovo mondo venuti nel Vecchio a mostrare come si canta Rossini. A Pesaro, la sua apparizione fece ai rossinisti lo stesso effetto di quella di un panda a un gruppo di animalisti: prima stupore, poi entusiasmo e infine amore.
In Merritt tutto era enorme: il fisico, la voce e soprattutto l’estensione, praticamente quella di un baritono con acuti da soprano. Era la resurrezione del «baritenore» dei tempi di Rossini, anzi di uno in particolare, Andrea Nozzari, per il quale Gioachino scrisse le sue opere napoletane. Mentre il compatriota-collega-rivale Rockwell Blake era la reincarnazione dell’altro tenore rossinianpartenopeo, ma «contraltino», Giovanni David, con entusiasmanti sfide-duetti all’ultimo sopracuto in Otello, Ermione o La donna del lago (per inciso: sembrano discorsi esoterici o pazzeschi, anzi sicuramente lo sono. Ma si sa che per andare all’opera la pazzia non è indispensabile, però aiuta).
In ogni caso, Merritt diventò presto una star, fino a inaugurare per due anni di fila la stagione della Scala gestione Muti, nel 1988 con Guglielmo Tell e nell’89 con I Vespri siciliani. Il declino, però, iniziò abbastanza presto. SuperChris pagava scelte di repertorio non sempre accorte e una tecnica forse non all’altezza dei cospicui doni di natura.
Allora tentò, con alterne fortune, di riciclarsi come specialista del Novecento. Oggi accusa «una sfortunata gestione manageriale» e forse è vero, ma si sa che per i cantanti quando le cose non girano è sempre colpa dei loro agenti (e viceversa).
Da buon americano, però, Merritt non si limita al lamento. Reagisce. Vuole rifarsi. Annuncia che ha già degli ingaggi, un Candide al Maggio, una Salome a Città del Messico, un Altoum di Turandot a Cincinnati. L’aiuto serve solo per arrivarci. Ed è interessante andare a vedere, fra i tanti anonimi, chi gliel’ha dato.
C’è uno spettatore che lo rincuora con 25 euro e due versi dell’Elisir d’amore: «Non v’ha destin sì rio / che non si cangi un dì». E poi ci sono molti cantanti, famosi e no: la divina Barbara Hannigan («Go Chris go»), Christopher Robson, Eglise Gutierrez, Francesco Meli, Alastair Miles, Cheryl Studer (miseria a parte, una parabola simile alla sua), Nicola Alaimo, Carlo Bosi, Katarina Karnéus. La più generosa, e di gran lunga, è la primadonna dei Puritani attualmente in scena a Torino, Olga Peretyatko. Coraggio Chris.
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