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A marzo, alla Scala, andrà in scena la “Mahagonny-Songspiel”, ovvero una cantata scenica che poi divenne un’opera epica intitolata “Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonny”, ovvero “Ascesa e caduta della città di Mahagonny” di Kurt Weill e Bertolt Brecht andata in scena a Lipsia nel 1930 e alla Scala una sola volta, il 29 febbraio 1964 con regia di Strehler.
Ma come mai Dagospia si occupa di una cosa così colta e strampalata? Perché basta sostituire il nome “Stadt Mahagonny” con “Terrazza Sentimento”, anzi “Sentimentilandia” (ovvero Terra del sentimento, come voleva farla diventare Alberto Genovese) e ci si accorge che, se si studiasse ancora storia della cultura, tutto era già stato scritto. L’opera lirica ha sempre già parlato di noi.
I trattati utopistici sulle città ideali sono sempre finalizzati a progettare una città che ha come fine il bene comune. La storia di Mahagonny è, invece, l’esatto contrario: la costruzione di una utopia negativa, di una terra definita “città-rete per pesci incauti” nella quale tutto è permesso grazie al denaro: cibo/sesso/violenza/alcool e droga.
Sentimentilandia di Genovese stava diventando anch’essa una Mahagonny come quella immaginata da Brecht, una “città-rete per pesci incauti”, una città-terrazza (che doveva raddoppiare) che faceva rete con le dependance di Mykonos, Ibiza ecc ecc, raggiunte in uno spazio privato (il volo privato).
L’inizio dell’opera vede i protagonisti elaborare l’idea di una città-trappola (“Netzestadt”) che si chiamerà Mahagonny e che servirà per attirare “incauti pesci” da tutto il mondo (“Eine Woche ist hier: Sieben Tage ohne Arbeit”). Il merito nella costruzione di questa terra-città non può che essere il Male, che serpeggia nel mondo degli uomini ricchi.
La voce dell’esistenza di questa nuova incredibile città si diffonde rapidamente attraverso le voci degli amici dei fondatori. Tra le prime persone a giungervi c’è un gruppo di giovani ragazze “in cerca di denari e ragazzi facili”: tra loro vi è Jenny. Orchestrati da una specie di fidanzata-maitresse, Begbick (che assegna a chiunque arrivi – purché locupletato - una ragazza), il ricco Jim sceglie Jenny.
Nella notte di Mahagonny ci si ingozza di cibo e sesso fino allo svenimento e alla morte; Begbick accompagna gli uomini dalle ragazze compiacenti (“Geld allein macht nicht sinnlich”), si beve whisky e, tra i fumi, si danza su un biliardo immaginando di essere su un battello con cui veleggiare in gruppo verso l’Alaska (dove si potrebbero fare altre Mahagonny). Ma poi non ci si ricorda granché.
Finisce che Jim viene arrestato e imprigionato. Durante un processo farsa, con avvocati ridicoli, ciascuno cerca di “comprare” la propria innocenza. Ma a Jim non riesce e viene addirittura condannato a morte. Mahagonny (ormai in preda al delirio e alle fiamme) è il vero inferno nel quale “nessuno” ha saputo rinunciare al proprio egoismo.
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