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Marco Giusti per Dagopia
40 anni di Torino Film Festival, 50 di “Milano calibro 9” di Fernando Di Leo, quasi 20 dalla riscoperta veneziana e tarantiniana del film, era il 2004 quando nel primo anno di Marco Muller direttore, nella retrospettiva che curai, “Kings of B’s”, facemmo rivedere il film alla presenza di Tarantino a Venezia. Una proiezione che dette nuova vita a un’opera, oggi considerata un capolavoro del genere, e a un autore che potevano davvero rischiare di scomparire.
Con Quentin e Muller decidemmo di dare anche un Leone d’Oro postumo a Di Leo, che poi io e Muller ci scordammo proprio di far realizzare chiamando la sorella di Di Leo a riceverlo, facendo un po’ incazzare Quentin… Ma oggi non c’è giovane cinefilo che non ricordi la celebre scena di Barbara Bouchet che balla in discoteca a Milano o che non conosca a memoria le battute di Gastone Moschin e Mario Adorf (“Tu a uno come Ugo Piazza non lo devi nemmeno sfiorare!”).
milano calibro 9. le ore del destino
Ben venga dunque, in questa edizione del Festival di Torino così piena di cinefilia e di recuperi, il documentario di M. Deborah Farina dedicato al film, al suo restauro, alla sua musica, alla visione di Tarantino, “Milano calibro 9: Le ore del destino”, coprodotto dalla Cineteca Nazionale e da Minerva Pictures, che fa il punto in maniera piuttosto innovativa, tra lo psichedelico, l’omaggio autoriale e il dotto saggio critici sul film. Partendo dal suo incredibile inizio, alla stazione di Milano, con quei colori indimenticabili e la musica di Luis Bacalov eseguita dal gruppo degli Osanna, ai quali proprio Bacalov e il suo fido socio e amico Sergio Bardotti affidarono appunto l’esecuzione.
Non sapevo che, nella fretta di chiudere tutto, gli Osanna non riuscirono a incidere per tempo il clamoroso pezzo finale, che allora venne sostituito nel film da un brano del Concerto Grosso dei New Trolls, anche se nel disco riuscirono a inserirlo. Brano che, assieme a altri del film e del disco, gli stessi Osanna eseguono nel documentario.
Parla Di Leo, in una vecchia registrazione, che non fece a tempo a vivere la sua consacrazione a Venezia, aveva un brutto enfisema polmonare e seguitava a fumare come un turco, parla Luis Bacalov, scomparso recentemente al punto che riuscì a viversi il trionfo del suo clamoroso “Django” nei due nuovi Django di Takeshi Miike e Tarantino, parla la femme fatale del film, la sempre arzilla e supersexy Barbara Bouchet, che intervistò per Sky Tarantino a Venezia proprio nel 2004, parla Davide Pulici, il maggiore studioso italiano dell’opera di Di Leo, parla Sergio Bruno che sta restaurando il film e ne sta scoprendo segreti misteriosi e parla Lino Vairetti, voce degli Osanna, che torna a eseguire la celebre colonna sonora firmata da Bacalov.
Era il 1971 e l’idea di Di Leo non era puntare sul poliziottesco, che non ha mai amato particolarmente, ma fare un vero e proprio noir, ispirato a quelli dell’amato Jean-Pierre Melville, partendo da una lettura particolare di un romanzo di Giorgio Scerbanenco. La cosa che stupisce di più oggi del film è l’incredibile casting. Gastone Moschin non faceva ancora film da duri, a parte certo il ruolo del fascista cattivo in “Il conformista” di Bertolucci che lo portò dritto nel “Padrino II”, ma di solito al cinema faceva ruoli di commedia o caratterizzazioni.
Lo stesso Mario Adorf, grande attore italo-svizzero con una faccia incredibile da italiano del sud. Neanche Barbara Bouchet era mai stata inquadrata così. Ma stupisce anche l’immagine, così forte, con colori così acidi, che non viene da una particolare attenzione alla fotografia, mi disse il direttore delle luci, Franco Villa, che Di Leo non si interessava tanto di fotografia, ma è lui che inserisce e muove gli attori come marionette dominate dal destino in questa Milano incredibile dei primi anni ’70.
La parte più nuova e interessante del documentario è la ricostruzione delle musiche grazie agli interventi di Bacalov e degli Osanna. Del resto Deborah Farina aveva già realizzato sia un corposo documentario su Di Leo che sugli Osanna. Ma, devo dire, che mi piace molto anche tutto l’inizio dove viene scomposto e ricomposto l’inizio del film e che offre un’altra angolazione a questi tipi di documentari. E questo è davvero ossessivo.
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