DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Trailer ufficiale Corpo dei giorni
Marco Giusti per Dagospia
“Il fascismo è morto?” - “Assolutamente no. Il fascismo è eterno.” “Cambiato?” - “Prendetemi così o ammazzatemi, perché non ho nessuna voglia di cambiare”. Chi parla così è Mario Tuti, nome ben noto del terrorismo nero, fondatore del Fronte Nazionale Rivoluzionario, in prigione dal 1975, condannato a ben due ergastoli dopo tre omicidi e una serie di attentati ferroviari, ora in regime di semilibertà.
Durissimo, senza l’ombra di qualsiasi dubbio o esitazione nel raccontare se stesso, Mario Tuti è il protagonista assoluto di un potentissimo documentario passato al Torino Film Festival, “Corpo dei giorni” ideato e diretto da un collettivo di cinque trentenni, “Santabelava”, che sono Henry Albert, Saverio Cappiello, Gianvito Cofano, Niccolò Natalii e Nikola Lorenzin, che entrano piano in piano in scena nel documentario affrontando direttamente Tuti, che risponde sempre a tono, inflessibile e terribile, un macigno.
Li vede come dei fighetti milanesi che nulla sanno dei tempi della lotta armata. “Voi mi vorreste salvare, ma io non ho alcun bisogno di essere salvato, non ne ho alcuna necessità, non ne ho alcuna voglia”. Tuti oggi è un bel signore d’età che ha passato dietro le sbarre gran parte della sua vita, dal 1975, quando lo hanno catturato, al 2013, l’anno in cui è entrato in regime di semilibertà. E che non ha paura di nulla. Nel 1981, assieme a Pier Luigi Concutelli, uccide un altro fascista, Ermanno Buzzi, considerato un infame.
Di quest’omicidio sentiamo una descrizione fredda, beffarda e violentissima ripresa al processo. La stessa freddezza la sentiamo quando legge la sua pagina Wikipedia, che trova “piena di cavolate” (”mai stato a Ajaccio!”), o certe dichiarazioni che riguardano un suo qualche dolore. Ma mai un pentimento. Lo esclude, “Al massimo posso provare dolore per le mie vittime che sono state anche loro vittime delle circostanze, vittime di una guerra”.
Oggi è ravveduto? Per nulla. “Non ho mai avuto rimorso per quello he ho fatto”. Dubbi? Nessuno, “Io ho solo certezze”. Magari se si fosse dichiarato pentito lo avrebbero già fatto uscire. Ma non lo farà. “Più facile reggere le botte che il peso dell’umiliazione”. “Un amico mi ha detto, vedi Mario se non fossi finito in carcere saresti stato il solito empolese, ricco, stronzo e contento. Esattamente l’immagine di quello che poteva essere il mio destino”. Ma riconosce che magari sua figlia sarebbe stata più contenta, conclude.
Capiamo che è in lotta col mondo e con se stesso da sempre. Ai registi del collettivo, bravi ragazzi di sinistra, che si ostinano a cercare di stabilire un qualche rapporto umano con lui, risponde duramente “Non potete giudicarmi se non avete fatto quello che ho fatto io… Ma voi cosa cazzo avete fatto… ma chi cazzo siete… avete mai visto gli occhi di qualcuno che avete ammazzato… avete mai sentito la sentenza che ti condanna all’ergastolo… avete trent’anni… io a trent’anni le avevo già fatte tutte, compreso sentirmi chiudermi dietro i cancelli del carcere per sempre”. Assolutamente da vedere.
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