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Valerio Cappelli per il "Corriere della Sera"
Giuseppe Tornatore è agli ultimi ritocchi, in postproduzione, del suo film che uscirà il 4 gennaio 2013. La migliore offerta, con Geoffrey Rush e Donald Sutherland, ha come background il mondo delle aste per raccontare una storia d'amore che vira verso il thriller. Gli esperti di dietrologie hanno stigmatizzato che Tornatore, dopo il polverone sugli elevati costi di Baarìa, abbia cambiato produttore: da Medusa, è passato sotto la Paco (sono le iniziali di Arturo Paglia e Isabella Cocuzza) in associazione con Warner Italia.
«In realtà il mio contratto con Medusa era finito, ci siamo lasciati in ottimi rapporti e non è escluso che vi tornerò a lavorare». Ciò non toglie che Baarìa, il suo film più ambizioso e autobiografico, tre anni fa gli abbia lasciato addosso «una ferita non ancora rimarginata» anche per il clima di invidia che ha sentito attorno a sé. Una sofferenza che adesso racconta per la prima volta.
Ferito perché?
«Premesso che di Baarìa mi restano la dolcezza e l'orgoglio di averlo fatto e la grande soddisfazione per come in fondo è andata, la ferita riguarda la speculazione che si è fatta sopra quel film. Tutti quei veleni, quelle cose dette in malafede...».
Le polemiche sono riconducibili a Berlusconi e agli animalisti?
«Sì. Tutto è nato quando Berlusconi (coinvolto attraverso Medusa di cui è proprietario ndr), la sera prima che fosse proiettato alla Mostra di Venezia, ha detto che Baarìa è un capolavoro. Un errore che nessun produttore avrebbe commesso. Il suo giudizio ha alzato un muro. E dunque, dei soldi dati da Berlusconi al mio film si doveva diffidare, ma erano apprezzabili per tutti gli altri venti progetti da lui finanziati».
Come reagì la stampa alla lode dell'ex premier?
«Un critico, ancora prima di vederlo, disse: può essere Kubrick, io lo faccio a pezzi. Un altro scrisse: il film, ovviamente, non parla di mafia. A parte il fatto che non è vero, cosa si vuole insinuare con ovviamente? Va detto che la maggioranza dei recensori giudicò liberamente, senza farsi condizionare. Ma non riesco a dimenticare certe porcherie».
Come andarono gli incassi?
«In Italia incassò 12 milioni di euro, una cifra che è considerata più che lusinghiera. Invece anche qui c'è chi disse che era andato male».
Quello che è incontestabile furono i mancati premi...
«Non riuscii a vincere niente, altra onta. Dalla Mostra di Venezia ai David di Donatello, dove fui trattato a pesci in faccia. Quattordici candidature, ignorato completamente, a parte la colonna sonora di Ennio Morricone. Fino agli Oscar, dov'ero candidato ma non fui preso in considerazione perché, mi dissero, era uscito un articolo in cui il presidente di Medusa, Carlo Rossella, parlando del meccanismo di Hollywood, dipinse i votanti come gente anziana, pensionati. Quelli si sono offesi. E giù altro veleno».
«Baarìa» costò molto, 25 milioni di euro.
«Ecco, circolò la leggenda che siccome era costato troppo, non c'erano soldi per finanziare i film di altri registi. In molti ci hanno creduto e mi hanno tolto il saluto».
Poi, gli animalisti...
«Sono stato perseguitato: lettere anonime, minacce, denunce. Mi accusarono per la scena dell'uccisione di un bovino. Dissero che ero andato in Tunisia per bypassare la legislazione italiana. Ma io ero lì perché vi avevo girato tutto il film. Fui convocato dal giudice e poi assolto, ma questo non l'ha scritto nessuno. Le amarezze per Baarìa le porto ancora dentro».
Mai tentato di dire arrivederci a tutti vado a Hollywood?
«In passato ci sono andato vicino. Dopo l'Oscar per Nuovo Cinema Paradiso mi offrirono tante cose. In America ho girato episodicamente, Il camorrista, qualche spot. Un intero film mai. Non ho accettato per ragioni indipendenti da me, i progetti che mi proponevano non mi convincevano. Ma non sto qui certo a lamentarmi, il cinema mi ha dato tanto».
Che idea si è fatto della crisi a Cinecittà ?
«Andrebbe rilanciata, come si fa con una squadra di calcio. Non si può accettare la trasformazione alberghiera e nemmeno che resti così. Spero nell'arrivo di investitori con tanti mezzi e idee nuove. Il cinema italiano è vivo, perché non provarci?».
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