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Giuseppina Manin per il "Corriere della Sera"
L'altra sera alla Scala Violetta è morta su una sedia. Ufficialmente di tisi, ufficiosamente di consunzione amorosa. In realtà qualche sospetto lo lasciano tutte quelle bottiglie e quelle pillole che lei trangugia e divora, quasi a voler accelerare la sua fine. Verdi e Piave non ci avevano pensato. Il regista Tcherniakov sì.
Forse per qualcuno la cosa è disdicevole, certo non è nuova. In questi ultimi anni mademoiselle Valéry ci ha lasciati nei modi più disparati: perché malata di Aids, per via di un'overdose, spiaccicata su una finestra... Oppure non muore affatto ma, come ha osato il catalano Calixto Bieito, fugge con Flora. Quanto a Don Giovanni , di volta in volta sprofonda all'Inferno fumandosi una sigaretta, circondato da Mickey Mouse, tra le sue belle in lingerie, o anche buttato di sotto come ha deciso Haneke all'Opéra Bastille.
Ma la patria degli allestimenti più irrispettosi resta Salisburgo, dove Salomè è finita dentro le fauci della testa mozza del Battista, Così fan tutte ha conosciuto una versione sadomaso, il Ratto dal serraglio è stato arricchito da una caterva di parolacce irriferibili.
Invenzioni fantasiose, discutibili, provocatorie, accolte talora con entusiastici consensi, più spesso con noia o irritazione.
La scuola tedesca di questi ultimi anni ci ha abituati ad audacie interpretative a volte geniali a volte solo sciagurate. Così che la variante registica sta diventando il nodo cruciale degli allestimenti lirici. «Vedendo come finiva quella povera Violetta l'altra sera sono un po' morto anch'io - confessa indignato Franco Zeffirelli che di Traviate se ne intende per averle messe in scena sia in teatro sia al cinema -. Quella scena del terzo atto era semplicemente ridicola, con Alfredo che le porta i pasticcini mentre lei sta per esalare l'ultimo respiro. Ma anche tutto il resto...
Una beffa di cialtroni che ignorano la cultura dell'opera. Che non si rendono conto che Verdi è un autore di tale perfezione, non solo musicale ma drammaturgica, che devi andarci molto cauto. E Traviata un tale capolavoro che non puoi permetterti scemenze gratuite. Altrimenti finisce che le togli l'anima e in platea non arriva nessuna emozione. Peccato, perché Diana Damrau è davvero bravissima e non meritava di finire in quell'insensato guazzabuglio».
D'altra parte i registi di oggi non possono più affrontare intrecci di qualche secolo fa, talvolta assurdi, senza cambiarne neanche una virgola. La tentazione di modernizzare non si pone tanto per voglia di stupire o scandalizzare, quanto come necessità per meglio comunicare con gli spettatori. «à l'obiettivo primo di ogni regista, bisogna saper usare il bagaglio linguistico, tecnologico, scenico dei nostri giorni», conferma Damiano Michieletto, regista di ultima generazione, che di recente ha ricevuto la sua dose di applausi e fischi alla Scala per Un ballo in maschera ambientato in una campagna elettorale americana.
«Il nostro solo dovere è tener fede alle parole e alla musica. Per il resto non ci sono limiti - continua -. Potrei portare Traviata su Marte, o come ho fatto con Butterfly , trasformarla in una denuncia del turismo sessuale. L'importante è che tutto avvenga nel rispetto del senso profondo della vicenda e abbia una sua coerenza logica e drammaturgica. Non è la cornice che conta ma quello che c'è dentro. A volte si tradisce di più rispettando alla lettera la tradizione che ripensandola con occhi nuovi».
«Il problema non è modernizzare a tutti i costi spostando l'epoca e cambiando i costumi - interviene Fortunato Ortombina, direttore artistico della Fenice di Venezia -. I capolavori dell'opera non possono essere imbrigliati nella loro data di nascita e sono certo che Verdi stesso sarebbe più che favorevole a nuove letture delle sue opere. Lui che le scriveva per i suoi contemporanei vorrebbe che risultassero contemporanee anche per noi».
L'operazione che ha fatto Robert Carsen alla Fenice proprio con Traviata, riletta come una tragedia condizionata dal denaro, è stata un esempio di attualizzazione audacissima, premiata dal pubblico e dalla critica. «L'idea giusta conta ma alla fine non basta - conclude Ortombina -. Alla fine quel che conta davvero è fare un bello spettacolo. E Carsen l'ha fatto».
«Riuscire ad attualizzare in modo intelligente e sensato è qualcosa di molto difficile - assicura Carlo Fontana, amministratore esecutivo del Regio di Parma e presidente dell'Agis -. Rinnovare lo spirito di un capolavoro richiede profonde basi culturali. Oltre una salda intesa con il direttore d'orchestra.
à quanto è successo tra Strehler o Ronconi con Abbado. Incontri alla pari, dialettici, forieri di grandi idee. Al contrario, il tanto diffuso modernizzare alla cieca significa non aver capito che perdi in partenza. Perché i geni della lirica, anche se sono nati secoli fa, sono sempre più avanti di tutti».
ZEFFIRELLI ROSI LUCA E CARLO VERDONE CON ZEFFIRELLI TCHERNIAKOV TRAVIATA IL SOPRANO DIANA DAMRAU CON IL REGISTA TCHERNIAKOV HANEKE VINCE LA PALMA D ORO A CANNES CARLO FONTANA CARLO FONTANA SCATENATO
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