COME MAI ALLA DUCETTA È PARTITO L’EMBOLO CONTRO PRODI? PERCHÉ IL PROF HA MESSO IL DITONE NELLA…
Mario Ajello per “il Messaggero”
Parlano i libri dei grandi scrittori ma parlano anche le loro case. Puoi vedere da quelle, dagli arredi, dai gusti domestici, dagli oggetti, oltre che dalle pagine che firmano, le differenze tra Manzoni e Leopardi, per esempio. O tra qualsiasi altro autore.
E allora ha fatto bene Mauro Novelli, docente di Letteratura italiana alla Statale di Milano, ad andare a vedere quanto le abitazioni degli scrittori - quella di Salgari a Torino dove per ironia della storia oggi c' è un' agenzia di viaggi esotici e quella di Marinetti a Bellagio, la casetta d' Arquà di Petrarca e la dimora veneziana di Goldoni, il palazzo di Verga a via Sant' Anna a Catania e la villa caprese di Malaparte e via così appartamento dopo appartamento da grande firma - posseggano una straordinaria capacità narrativa. «Sulle loro pagine ci siamo riconosciuti, nelle loro stanze li riconosciamo»: ecco il motto che sta alla base di questo godibilissimo volume: La finestra di Leopardi (appena uscito, per Feltrinelli).
GIGANTI
Pensiamo a due giganti del Novecento: Pirandello e D' Annunzio. La palazzina di via Bosio a Roma, dove morì il primo, grigia e decorosa, è l' esatto opposto della villa-monumento in cui si rinchiuse il secondo, sul Garda. I due, non a caso, non si sopportavano. «Tutte le cloache d' Italia sfociano a Gardone», cioè al Vittoriale, scrisse Pirandello in una lettera all' amata Marta Abba. Il Vate, l' Immaginifico fece della sua dimora il simbolo del suo mito, la concepì in maniera magniloquente - «Io ho quel che ho donato», dice l' iscrizione all' ingresso - come un luogo unico creato per esibirsi e per occultarsi allo stesso tempo.
Radunando lì dentro, dal 1921, dopo che ci si stabilì in seguito all' impresa di Fiume, reliquie religiose, belliche, sportive, erotiche, l' Apollo di gesso in perizoma, i portafortuna più impensabili (gran giocatore del lotto e gran superstizioso), e fiori dappertutto, la sala della musica («Jazz band, jazz band, jazz band, balliamo tutta la notte!», scrive in una lettera del 28), una cabina telefonica, e di tutto ma proprio di tutto e di più.
Compreso, tra i marmi e i gessi a centinaia, il busto di Eleonora Duse, ma il volto dell' attrice è coperto perché il poeta temeva che i bagliori della sua bellezza e il tumultuare dei ricordi dell' amata lo distraessero.
MONUMENTALE
Il pienone monumentale e auto celebrativo che D' Annunzio, «padronissimo del mio Universo-Mondo», mette in scena nella casa di Gardone - dove i caloriferi andavano sempre al massimo, e si sudava sempre - è il contraltare strabordante rispetto alla sobria secchezza quasi disadorna e all' essenzialità anonima della dimora borghese di Pirandello.
Qui, nell' appartamento all' ultimo piano della villetta di via Bosio a Roma, nel 34 gli arriva la notizia della vittoria del Nobel. Comincia la processione nel suo salotto (poi c' era e c' è in questa che ora è una casa-museo la stanza da letto ma la cucina no, andava a mangiare dal figlio al piano di sotto) di tutti quelli che gli chiedono: «Facciamo un libro a 4 mani?».
E lui: «Due sono già troppe». Così Corrado Alvaro - lo ricorda Novelli nel suo libro - che quella casa frequentava avrebbe scritto dopo la morte del grande drammaturgo: «Questo luogo forse diceva qualcosa della vita esteriore di Pirandello, nulla di quella intima. Gli oggetti da cui era attorniato non fornivano nessun indizio intorno alla sua personalità». Oggetti in cerca di un autore - con la moglie in manicomio e tanta voglia di vivere in albergo - che non li voleva considerare.
La riduzione all' essenziale degli attori, che è tipica del teatro di Pirandello, trova la sua proiezione domestica nella riduzione all' essenziale le degli arredi. Ma nel rispetto del decoro borghese in quell' angolo del quartiere Nomentana. Più in là c' è villa Torlonia, cento metri dopo c' era la casa dove un tempo aveva abitato Claretta Petacci. E da una di quelle finestre, la vestale del regime littorio aveva spesso contemplato Mussolini, intento a lavori di giardinaggio.
Se Mark Twain scriveva a letto, Ernest Hemingway spesso scriveva stando in piedi, Victor Hugo scriveva senza vestiti (avvolto in una coperta) e Honoré de Balzac scriveva bevendo anche 50 caffè al giorno («Sono la mia fonte d' ispirazione»), ecco invece la normalità dello scrittoio dove sono nati i capolavori di Pirandello. Quel tavolo su cui, quando egli morì il 10 dicembre del 36, restò l' adorato Romeo e Giulietta di Shakespeare.
FORESTIERI
«Uomo difficile. Amareggiato. Disilluso», così Novelli descrive Pirandello. E la sua abitazione gli si addice naturalmente. «Potrei avere una casa soltanto con te, non mi è possibile altrimenti», scriveva a Marta Abba. E questo luogo, come in generale per lui Roma, doveva sembrargli come al Fu Mattia Pascal: «Adatto a ospitar con indifferenza, tra tanti forestieri, un forestiero come me».
Soltanto una volta, alla metà degli anni Venti, in un momento di entusiasmo Pirandello si era lasciato convincere a farsi costruire un villino. Idea che gli procurò un' infinità di guai e divenne un' ossessione. La villetta esiste ancora, in via Onofrio Panvinio, sempre in zona Nomentana, e beffardamente ospita una scuola privata intitolata a Gabriele D' Annunzio.
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