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Maria Corbi per âLa Stampa'
Ieri era il compleanno dei suoi due gemelli, 12 anni, e Raniero Busco voleva regalargli un futuro certo, con il padre accanto. La conferma dell'assoluzione da parte della Cassazione rende possibile tutto questo, una vita normale, lontano dai riflettori, e dall'incubo. Non è stato Busco ad uccidere Simonetta Cesaroni, in quell'ufficio di via Poma diventato tristemente famoso. Uno dei grandi gialli che ha cavalcato due secoli e da 24 anni non trova una risposta. «Non sono io l'assassino», ha ripetuto da quando nel 2004 il suo nome è tornato al centro delle indagini.
La condanna a 24 anni in primo grado era stato un colpo durissimo. Un uomo distrutto tenuto in piedi dalla moglie Roberta Millettari, una colonna, ai suoi due figli che anche ieri lo hanno incoraggiato. «La fine di un incubo», ha ripetuto ieri, inebetito dalla felicità al professor Franco Coppi, il principe del Foro che in appello ha deciso di difenderlo insieme a Paolo Loria, legale della prima ora.
La giornata più bella ieri, lunghissima che in inizia al Palazzaccio con il procuratore generale della Cassazione Francesco Salzano che chiede l'annullamento con rinvio della sentenza di assoluzione, un nuovo processo di appello. Necessaria, dice, una nuova consulenza perché la superperizia disposta dalla Corte di appello (che ha disintegrato tutti i motivi della condanna di primo grado basati sulla prova scientifica) non è attendibile.
A iniziare dal morso sul seno sinistro della ragazza che tale non è, secondo quei periti. Le lesioni superficiali potrebbero essere state lasciate da una varietà di oggetti appuntiti. «Se fosse stato un morso, l'assassino avrebbe dovuto avere capacità contorsionistiche» scrivono i tecnici. E comunque non è accettabile scientificamente attribuire quelle minime lesioni a una determinata arcata dentaria. Secondo il pg invece occorre una nuova analisi di quei segni da parte di periti competenti in odontoiatria forense (mentre il professor Corrado Cipolla D'Abruzzo è un patologo e medico legale).
«Siamo davanti a un processo indiziario - ha sottolineato la pubblica accusa di piazza Cavour- il che però non vuol dire che le prove indirette abbiano meno attitudine dimostrativa». Bianco e nero. Tesi e antitesi. Due teorie per un delitto. Accusa e difesa che sono tornate a scontrarsi. Su tutto. Ripreso l'argomento delle tracce di Dna di Busco trovato sul reggiseno e sul corpetto di Simonetta Cesaroni, secondo l'accusa lasciato dalla saliva durante il morso.
Mentre la perizia ha rilevato come sia impossibile stabilire che quel dna derivi dalla saliva o invece da altro. E ieri nell'aula Brancaccio il professor Franco Coppi, difensore insieme a Paolo Loria di Busco è tornato ancora su questo per rispondere a obiezioni della parte civile e anche del procuratore generale.
Il dna potrebbe essere stato lasciato sul reggiseno della Cesaroni da Busco il sabato precedente il delitto quando avevano avuto un rapporto sessuale, trasmigrando poi sul corpetto quel maledetto 7 agosto, giorno dell'omicidio. Battaglia anche sul movente. «Inesistente», sostiene la difesa di Busco visto che l'uomo era soddisfatto dei suoi rapporti con Simonetta anche se lei voleva qualcosa di più.
«Siamo molto delusi. Resta un delitto senza colpevoli», dice l'avvocato Federica Mondani, difensore di parte civile della mamma e della sorella di Simonetta Cesaroni. «Restiamo convinti - ha aggiunto l'avvocato - che ci fossero elementi importanti contro Busco».
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