COME MAI ALLA DUCETTA È PARTITO L’EMBOLO CONTRO PRODI? PERCHÉ IL PROF HA MESSO IL DITONE NELLA…
Silvia Fumarola per “la Repubblica”
Le posate sono abolite, il suo è un corpo a corpo col cibo: che siano lampascioni, pasta, carne, usa le mani. Ma mai fermarsi all’apparenza, Chef Rubio, all’anagrafe Gabriele Rubini, ex rugbista diventato guru dello street food, una roccia coperta di tatuaggi, non è rude come appare.
Con Unti e bisunti, programma cult di cucina su Dmax, ha conquistato nonne, nipoti e surfisti. Un fenomeno social da mezzo milione di seguaci su Facebook (commenti romantici: «Mettimi sulla brace come una fetta di pancetta») che va oltre il web: a Napoli Rubio pastore tatuato troneggia nel presepe di San Gregorio Armeno.
Visto il successo, si gira il film Unto e bisunto, Chef Rubio story dall’infanzia ai fornelli, che Dmax trasmetterà a dicembre. Seduto nella sala trucco improvvisata in una cantina di Frascati, Rubini si racconta e ribadisce: lui è proprio così e non lo “disegnano” così; il regista Riccardo Mastropietro organizza il set, in tavola lumache annegate nel sugo, coratella e coppiette (strisce di carne essiccata, ndr), e non è ancora mezzogiorno. Se Cracco impiatta come un mosaicista, chef Rubio taglia, spella, suda, cuoce e divora: «Più della cucina, m’interessa il viaggio e l’incontro con le persone perché sono curioso.
La gente lo capisce». Trentatré anni, nato a Frascati, genitori avvocati, è impegnato contro i disturbi alimentari, ha cucinato nelle carceri, illustrato su Repubblica. it le videoricette nella lingua dei segni italiana (Lis), realizzate con l’Istituto statale sordi (Issr) di Roma. Dal 7 settembre a Rio de Janeiro sarà il cuoco degli atleti alle Paralimpiadi: «Un bel progetto perché la parrocchia che ospiterà la mensa resterà a disposizione dei bambini delle favelas».
Gabriele, un film biografico a 33 anni non le sembra un’esagerazione?
«Il film è una scusa per spiegare con un racconto ironico cosa faccio. La gente ha capito che difendo i valori della tradizione: non sono un prodotto della tv ».
Com’è nata la passione per la cucina?
«Vedendo cucinare mamma e nonna».
Da piccolo che sognava di fare?
«Il macellaio, il pescivendolo o l’oceanografo. Sono appassionato di squali, animali affascinanti che rispetto. Dopo il liceo classico ho provato a fare il test di ingresso a Biologia, non è andato e non mi sono incaponito. L’ho tenuta come passione».
Com’è entrato il rugby nella sua vita?
«A dieci anni avevo una scoliosi importante e ho cominciato a fare sport. Crescendo l’ho fatto a livello agonistico anche se il rugby non ha tutta la magia che ci vedono. Però con le nazionali giovanili ho avuto la fortuna di uscire dai confini, mi è servito a stimolare l’attitudine al viaggio. Facevi la figura dell’italiano medio a un’età inferiore rispetto agli altri...
Le prime trasferte sono stati importanti, ho scoperto il cibo di strada in Irlanda, Galles, Inghilterra, quartieri interi dove si faceva solo fish and chips. Sono stato in Sudafrica prima del mitico viaggio in Nuova Zelanda a 21 anni, quando sono rimasto a vivere fuori. Aiutavo in cucina, oltre a imparare l’inglese ho capito come andavano il mondo e l’Italia».
Che ha capito?
«Ero convinto di trovare il bello fuori, ma c’è tanta bellezza anche in Italia. Vale la pena di provare a cambiare le cose da qui anche se bisogna lottare per tutto».
La cucina che rappresenta?
«Un modo di esprimermi. Con un amico facevamo video per spiegare le ricette in modo leggero, li hanno visti un paio di produttori ma non avevano capito cosa m’interessasse davvero. Quelli della casa di produzione Pesci combattenti, con cui lavoro, sono stati intelligenti, hanno detto: “Raccontati per quello che sei e ti cuciamo un vestito addosso”. Così è nato Chef Rubio, ma è autentico».
Vuole dire che è rimasto se stesso?
«Mi stupisco delle persone che cambiano perché appaiono in tv, non hanno spessore. Tolta l’esposizione mediatica è un lavoro come un altro. Ok, ti fermano per strada e fa piacere. Ma sei tu».
Veramente la vedono come un sex symbol. Quanto ha inciso il fisico?
«Ha influito, inutile prenderci in giro. Però anche una persona senza le mie caratteristiche, con la cazzimma poteva farcela».
Perché gli chef sono diventati divi?
«Lo trovo assurdo, fuori da ogni logica. Colpa dell’industria alimentare, il cibo è una moda».
Cosa guarda in tv?
«Non ho la tv, seguo qualche serie al computer. Prima leggevo di più ora sto sempre in giro».
Non ha mai pensato di aprire un ristorante?
«Non riesco a stare fermo in un posto, si figuri se posso aprire un ristorante».
I suoi genitori che dicono?
«Sono taciturno, non molto incline al dialogo se non con persone nuove che non sono i miei genitori ».
I baffi tra D’Annunzio e Dalì come nascono?
«Me li ero fatti fare in Rajasthan al matrimonio di un amico. Per un po’ in tv li ho tenuti».
E i tatuaggi?
cannavacciuolo stadio olimpico 6
«La maggior parte li ho fatti in Nuova Zelanda, altri a Marino».
Meglio una cena con Cannavacciuolo o con Cracco?
«Cracco non l’ho mai incontrato, Cannavacciuolo mi sta simpatico, ci siamo incrociati, mi ha fatto un buffetto con un sorriso che diceva: “Stai facendo bene”».
Farebbe l’attore?
«Con tutti i cani che girano tra cinema e tv se dovessi sentirmi bene in un ruolo direi di sì. Il film più bello che ho visto quest’anno è Lo chiamavano Jeeg Robot. Dopo Alberto Sordi, Mainetti è riuscito a raccontare Roma come nessun altro».
Che rapporto ha con Roma?
«Fino a 18 anni non avevo la patente, non mi spostavo. Frascati ha una squadra che ha fatto vedere i sorci verdi alle squadre di Roma. Poi sono andato a giocare fuori. Roma comincio ad amarla, prima vedevo solo i difetti, la fregatura è che è bella oltre le pecche. Chi la gestisce ha l’alibi: è unica. Invece è inammissibile. Vivo a Frascati, è la mia base; se devo poggiare gli stracci c’è casa».
Ha mangiato intingoli spaventosi, ha un piatto preferito?
«Comfort food, il tramezzino con l’insalata di pollo fatto bene, con la maionese preparata in casa. Non ci vuole tanto. Perché nella vetrinetta dei bar sono così tristi? ».
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