FLASH! - FERMI TUTTI: NON E' VERO CHE LA MELONA NON CONTA NIENTE AL PUNTO DI ESSERE RELEGATA…
1. VALLE, ANCORA 48 ORE MURO CONTRO MURO COMUNE-OCCUPANTI
Mauro Favale per “la Repubblica-Roma”
Il Campidoglio è convinto di chiudere entro 48 ore la vicenda del Teatro Valle: «Deve uscire dall’illegalità», dice il sindaco Ignazio Marino. Gli artisti e i cittadini che da tre anni occupano lo stabile più antico della città dribblano l’ultimatum del Comune, lo considerano «irricevibile» e chiedono più tempo per «avviare un percorso sul modello di gestione del teatro». A due giorni dalla chiusura della «finestra» aperta dall’assessore alla Cultura Giovanna Marinelli la situazione è bloccata.
Dal Valle si organizza un «presidio antisgombero » e si fanno presenti i principi sui quali si fonda la loro controproposta: «Direzione artistica a chiamata pubblica su progetto, salvaguardia della vocazione artistica del teatro, tutela dei diritti dei lavoratori, equilibrio fra paghe minime e massime, politica dei prezzi che garantisca l’accesso a tutti, cariche esecutive turnarie e partecipazione nei processi decisionali».
«Il Valle non è in pericolo — assicurano dal Campidoglio — e la nostra proposta è riconoscimento e opportunità di valorizzazione ». Anche il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini approva il percorso intrapreso: «Condivido le ultime decisioni del Comune di affidare in gestione il Valle al Teatro di Roma e di comunicare agli occupanti che i locali devono essere liberati entro il 31 luglio». Sulle sorti del Valle pendono anche alcuni esposti alla magistratura. L’ultimo in ordine di tempo è quello dell’Agis Lazio che ieri ha querelato «occupanti e istituzioni che hanno tollerato in questi anni tale occupazione a danno della collettività».
I tempi sono stretti ma tra la politica c’è ancora chi crede nella riuscita del dialogo: «Bisogna mantenere la lucidità e affrontare la questione con lungimiranza — afferma il capogruppo di Sel in Aula Giulio Cesare, Gianluca Peciola — ci sono tutte le condizioni per un esito positivo».
2. ATTORI E REGISTI ALL’ULTIMA BARRICATA: “SARÀ UNA RESISTENZA ARTISTICA”
Mauro Favale per “la Repubblica - Roma”
Aspetteranno l‘alba del primo agosto dentro al teatro, con le porte aperte, spalancate. Una «resistenza artistica pacifica e non violenta» che si tradurrà in una no-stop di spettacoli e performance. «Perché se così vogliono, ci dovranno portare via mentre c’è gente sul palco che lavora e si esibisce».
I due giorni più difficili per il Teatro Valle iniziano con una assemblea di oltre cento persone: tanti giovani, universitari e liceali, ma anche diversi quarantenni e cinquantenni, e più d’uno con la barba bianca. Sono artisti, attori, drammaturghi, lavoratori dello spettacolo, attivisti e cittadini romani che da tre anni attraversano l’esperienza del Valle occupato.
Molti, prima del 14 giugno 2011, non avevano mai messo piede qui dentro, tra le poltroncine rosse, le luci, gli stucchi. Ora si organizzano per fare i turni di notte, per portare i sacchi a pelo, anche se, scherza Fulvio, uno degli occupanti della prima ora, «non è che sia così piacevole dormire qui dentro». È un ritorno al passato, a tre anni fa, a quei giorni di metà giugno quando, subito dopo la vittoria al referendum per i beni comuni e l’acqua pubblica, riuscì quel blitz che nessuno si aspettava.
Marino Sinibaldi presenta Francesco Guccini
Oggi nessuno sa cosa accadrà il primo agosto. Non lo sa nemmeno Marino Sinibaldi, direttore del Teatro di Roma, “mediatore” nella singolare trattativa che si è aperta nelle ultime ore e che scadrà dopodomani. «Fino al 31 non succede nulla», assicura davanti a una platea severa che lo giudica e lo rintuzza: «Ti ricordi quando volevi fare la rivoluzione?», lo sfottono dai palchetti. Lui incassa, fa per andarsene, ma poi resta ancora un po’, nonostante «le idiozie», dice stizzito.
La sua è una presenza inattesa. Arriva davanti al Teatro verso le 17, poco prima dell’inizio dell’assemblea convocata dagli occupanti e dai soci della Fondazione per decidere cosa fare dopo «l’ultimatum del Comune». Chiede di parlare, per spiegare, per precisare, per chiarire, anche brutalmente «le opportunità offerte dal Campidoglio ». Le elenca: «Col passaggio al Teatro di Roma, il Valle resta pubblico, non è una cosa irrilevante.
Ci impegniamo ad accogliere le vostre forme di organizzazione, a lavorare insieme per creare un modello di teatro partecipato». «Ma come si fa, se c’è un ultimatum che scade domani?», ribattono dalla platea. «Il processo partecipativo durerà anni, non due giorni», replica Sinibaldi.
Chiede «uno scambio di reciproca fiducia: noi garantiremo la prosecuzione di tutte le attività che il Valle porta avanti in questo spazio». Altrove, però. Non dice dove ma le idee che circolano sono quelle del Teatro India appena ristrutturato e del Palladium a Garbatella. «Nel frattempo, però, il Valle va riconsegnato alla Soprintendenza».
Poi cala quello che considera un asso: «Si può pensare a una convenzione tra il Teatro di Roma e la Fondazione Valle Bene comune, quando verranno risolti i problemi giuridici». Su una cosa, però, non transige: «I cda dei teatri non sono nominati dai partiti ma da istituzioni elette da milioni di cittadini», dice per difendere il suo ruolo. Un po’ la stessa posizione che il suo collega nel cda del Teatro di Roma, il giornalista e critico teatrale Nicola Fano, affida a una battuta: «Io non sono gestito altro che da me stesso». L’assemblea rumoreggia: «E Bruno Vespa al Teatro dell’Opera ve lo siete dimenticato? ».
Sinibaldi sa che si sta muovendo su un crinale sottilissimo. «Basta dire che il 31 luglio non è più una tagliola», propone Giulia Rodano, ex assessore regionale alla Cultura. «Chiedi una proroga», gli urlano dalla platea. «Ma io non sono Blair che sta ancora mediando sul Medio Oriente con i risultati che vediamo», taglia corto il direttore di Radio3. Cerca, piuttosto, di volare alto Sinibaldi: «Stiamo tentando un esperimento audace: vogliamo provare a portare dentro le istituzioni un’esperienza di movimento. Finora in città non siamo mai riusciti a formalizzare ciò che di buono hanno fatto i movimenti».
Se ne va dopo oltre un’ora di botta e risposta, lasciando aperta una questione che, per alcuni, è il problema principale. La chiamano «la normalizzazione del percorso del Valle, una cosa che non si può fare». Come se ne esce? «Con l’assegnazione del Teatro alla Fondazione, non ci sono altre strade», dice qualcuno. Ma non è l’unica voce. Perché durante la giornata più d’uno tra gli occupanti ribadisce che «qui non ci sono persone interessate alla gestione diretta, nessuno vuole la gestione in prima persona del teatro». Puntano a un riconoscimento diverso, a non disperdere un modello che ha avuto attestati internazionali.
Non si fidano delle promesse del Campidoglio: «Da settembre 2013 cerchiamo una interlocuzione perché crediamo che questa sia un’opportunità per la città. Ora ci mettono di fronte ad un aut aut irricevibile». Chiedono più tempo, nonostante le denunce arrivate negli ultimi giorni (da Forza Italia e dall’Agis Lazio) e, nonostante l’indagine della Corte dei Conti, che ipotizza un danno erariale alle casse del Campidoglio che, in tre anni, ha continuato a pagare le utenze: «Ma se è un problema di bollette facciamo una colletta», dicono.
«Abbiamo di fronte una resa onorevole o una resistenza a non si sa bene cosa», interviene Fausto Paravidino, regista e attore genovese che al Valle, dopo un laboratorio di un anno e mezzo, ha preparato “Il macello di Giobbe”, il suo nuovo spettacolo pronto al debutto a fine settembre. Il pensiero di tutti va a scene già viste in città, a sgomberi con la celere in uniforme antisommossa. «Ecco, noi vorremmo proprio evitare i manganelli». L’alba del primo agosto si avvicina.
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