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Gian Guido Vecchi per il "Corriere della Sera"
La Chiesa non è una multinazionale e un sacerdote non può essere considerato in quanto tale un «dipendente» della Santa Sede. La sentenza della Corte federale di Portland, nell'Oregon, è storica e destinata a lasciare il segno, nei processi contro preti e religiosi pedofili negli Stati Uniti. La questione non riguardava i crimini del reverendo pedofilo Andrew Ronan, peraltro morto nel '92.
Il processo aveva tirato in ballo per la prima volta direttamente la Santa Sede e andava oltre la singola vicenda: il legale di una vittima, l'avvocato Jeff Anderson, puntava a dimostrare la responsabilità civile dei vertici del Vaticano, a cominciare dal Papa, con relativa possibilità di chiedere direttamente anche alla Santa Sede (si stima che le diocesi americane abbiano già pagato due miliardi di dollari) risarcimenti danni milionari pure in altre cause.
Il giudice Michael Mosman, lunedì, ha invece stabilito che la Santa Sede non può essere considerata il «datore di lavoro» del sacerdote. Accuse archiviate, non funziona così: «Allora i cattolici, ovunque, potrebbero essere considerati impiegati della Santa Sede». Una sentenza «importantissima», spiega l'avvocato della Santa Sede Jeffrey Lena: «Per la prima volta, di là dalle teorie, un giudice ha valutato i fatti e tutta la documentazione che ci avevano richiesto. Un religioso dipende dal suo ordine, e a maggior ragione un prete dal suo vescovo diocesano. Del resto nel 2009 il nono circuito d'appello federale aveva chiarito che ordine religioso e Santa Sede sono entità distinte.
Così, se tecnicamente questa sentenza non fa ancora giurisprudenza perché siamo al primo grado, è assai difficile cambi in appello e intanto avrà l'effetto di stoppare cause simili». La vicenda risale agli Anni Sessanta, padre Ronan era un religioso dei «Servi di Maria» che aveva cominciato a violentare ragazzini in Irlanda per poi proseguire a Chicago e Port land dopo essere stato trasferito dal suo ordine negli Usa.
L'ordine aveva tenuto tutto coperto per 15 anni finché la Santa Sede era stata informata e aveva impiegato solo cinque settimane ad accettare la richiesta di riduzione allo stato laicale (che non equivale a un «licenziamento», ha chiarito il giudice). Nel 2002 una vittima denunciò gli abusi subiti da ragazzo e il caso giudiziario contro il Vaticano era arrivato fino alla Corte Suprema: nel giugno 2010 non si era pronunciata sulla richiesta di immunità della Santa Sede e aveva rinviato il fascicolo al tribunale dell'Oregon.
La sentenza si aggiunge a un'altra archiviazione, a febbraio di quest'anno, quella della causa che lo stesso avvocato Anderson intentò nel 2010 sul «caso Murphy», un pedofilo colpevole di centinaia di abusi dagli anni Cinquanta al '74: anche qui si volevano coinvolgere il Papa e i vertici della Santa Sede. La causa è finita in niente ma intanto aveva fatto il giro del mondo. Con un doppio paradosso: le accuse colpivano Joseph Ratzinger, il pontefice che più di ogni altro nella storia ha combattuto la pedofilia nel clero, e finivano col fare il gioco proprio di chi, nella Chiesa, avrebbe preferito parlare di «complotti» ed è rimasto spiazzato dalla linea di trasparenza e rigore imposta da Benedetto XVI.
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