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Marco Giusti per Dagospia
Per fortuna anche questa Venezia 80 sta finendo. Siamo stremati e gli ultimi film non sono certo dei capolavori. Piuttosto deludente, anche se almeno come idea è piuttosto divertente, il “Daaaaaalì” del belga sbarazzino Quentin Dupieux, quello di “Manibule” e di “Yannick”, appena uscito in Francia, dove il personaggio del celebre pittore è interpretato da ben quattro attori diversi, Edouard Baer, Gilles Lellouche, Joanathan Cohen, Pio Marmaï, più un quinto che interpreta Dalì vecchio sulla carrozzella.
Perbacco! Manca un Dalì – Pierfrancesco Favino che sarebbe stato fenomenale. I quattro Dalì, anzi cinque Dalì, vengono rincorsi per tutto il film da una giovane giornalista, la brava Anaïs Demoustier (“November”, “Alice e il sindaco”), che intende intervistarlo. Prima con carta e penna, come facevo anch’io negli anni ’80, poi con una cinepresa, poi con due, per farne un film spinta anche dal suo produttore, Romain Duris. Il Dalì che ha in testa Dupieux è un Dalì comico, eccessivo, grottesco, che non cambia molto da attore a attore, a dire il vero, e si muove nei primi anni ’80 quando il celebre artista era diventato un personaggio eccessivo e mediatico alla Carmelo Bene se non alla Sgarbi, completamente schiavo del suo personaggio.
Se una cosa ha di buono il film di Dupieux è proprio questa ossessione del mettere in scena senza freni il Dalì di un’epoca che apriva allo show del personaggio celebre in tv quando ancora il circo mediatico della tv non era così attrezzato a sostenerne l’urto assurdo e egocentrico. Da noi solo Carmelo Bene, ma un bel po’ più tardi, poteva vantare questa forza di messa in scena continua di se stesso. Modello per molti dei mostri-in-tv che verranno dopo. Rispetto al Dalì orrendo di ben Kingsley nel modestissimo “Daliland” di Mary Harron che abbiamo visto solo un anno fa, qui non solo c’è più divertimento, ma anche un filo di fedeltà in più al personaggio.
Edouard Baer, Quentin Dupiex, Anais Demoustier venezia
Dupieuz ha pure l’idea di unire ai tanti Dalì che presenta, una struttura onirico-surrealista alla Luis Bunuel, dove i racconti nei racconti nei racconti non finiscono mai. Devo dire che la cena con la zuppa di vermi a casa del giardiniere col prete bunelesco è piuttosto riuscita. Ma 90 minuti di un film dove si ripete sempre la stessa gag, pur cambiando gli attori, non è proprio quello che mi aspettavo dall’operazione. Presentato fuori concorso per smaltire i polpettoni di due ore e mezzo/tre ore della giornata.
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