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Marco Giusti per Dagospia
Hannah di Andrea Pallaoro
Venezia. Dopo il trionfo ieri di Brutti e cativi di Cosimo Gomez arriva stamane l’ultimo film italiano in concorso. Tutto quello che vediamo in Hannah, opera seconda di Andrea Pallaoro, presentato in concorso, è Charlotte Rampling, sempre bravissima, che si muove per una città (Bruxelles, ma la metro è quella di Roma…).
Va a trovare il marito, André Wilms, in prigione. Va a una scuola di recitazione dove cerca di tirar fuori emozioni dal profondo. Va in una piscina. Si veste, si sveste, si riveste. Non parla o parla pochissimo. Cerca di esprimere recitando, ma non ci riesce. Qualcuno, una madre?, cercherà di parlare con lei. Lei cercherà di preparare una torta per un nipotino che non può vedere, perché il figlio non vuole vederla.
A un certo punto, come in certo grande cinema del passato o da festival (Leviathan…), compare anche una balena, e infatti il film si doveva chiamare The Whale in un primo tempo. Perché la balena, come nel finale de La dolce vita è il mostro spiaggiato che esprime tutto quello che abbiamo interiorizzato e non riusciamo a esprimere. Pallaoro ci mette di fronte a un puzzle di cinema da festival che dobbiamo ricucire.
Ne abbiamo ricuciti tanti… Deve molto al volto meraviglioso di Charlotte Rampling e alla sua generosità nel mostrarsi in pose di nudo che poche star della sua età accetterebbero e che qualcuno troverà un po’ troppo forti. Ma il film rimane non solo un bel po’ inespresso, ma anche inerte nel suo lento costruirsi come ritratto ambizioso di una donna che il regista sta martirizzando in nome del cinema.
I giovani registi come Pallaoro, italiani e non, che studiano all’estero alla fine sanno costruire un film, ma spesso non hanno tanto da raccontare e proprio la macchina un po’ accademica del loro cinema finisce spesso per limitare il loro talento. Certo, Charlotte Rampling è formidabile, la fotografia di Charyse Irvin pure. Ma avevamo davvero bisogno di questo film?
Alla fine il cinema italiano a Venezia ha funzionato più in termini di cinema di genere, Manetti e Gomez, o di regionalismi, i tanti film napoletani, Nato a Casal di principe, Veleno, Gatta Cenerentola, che non nel suo volersi proporre come cinema d’arte. A parte forse Nico, che rimane un bel film europeo.
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