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Marco Giusti per Dagospia
romana maggiora vergano fabrizio uni il tempo che ci vuole
“Prima la vita, poi il cinema”, spiega così la sua filosofia sul set di “Le avventure di Pinocchio”, riprendendo un organizzatore un po’ rude, il regista Luigi Comencini interpretato da un perfetto Fabrizio Gifuni nel bel film presentato fuori concorso “Il tempo che ci vuole”, ideato, scritto e. diretto da Francesca Comencini. Un Gifuni così perfetto che riesce incredibilmente a cogliere i caratteri non così semplici del vecchio regista italiano così umano nell'essenza quanto burbero nei modi. “Prima la vita” era anche il primo titolo del film.
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Non so quanto dopo però venisse, per Comencini, il cinema, visto che cinema e vita hanno per lui e la sua famiglia un rapporto così stretto che sembra difficile dividerli. Quando un Comencini già stanco e malato scopre che l’adorata figlia Francesca, interpretata da grande dalla bravissima Romana Maggiora Vergano, è tossica, sì il film è totalmente autobiografico, e gli urla che non sa fare nulla, lui si mette seduto per terra e la guarda, silenzioso. Adesso le dice di andare a fare il cinema con lui, ho pensato io, un po’ cinicamente.
E grande è stata la sorpresa nel constatare che proprio quella, magari con toni più cauti, è la risposta paterna del vecchio regista. La prende alla lontana, però. Parlando di come lui si sentisse inadeguato alla fine del suo primo film (“Vietato rubare”). E poi le dice che da quel momento in poi non la lascerà più. E, dopo la morte del compagno tossico di lei, la porta a Parigi. A disintossicarsi. A iniziare la vita e il cinema. Con un primo film, autobiografico, sui suoi anni bui e sulla morte di Carlo Rivolta.
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“Non lo vedrò”, le dice il padre. Non ama i film autobiografici. Certo. Io invece c’ero quell’anno a vedere l’opera prima di Francesca Comencini. Era un film su una generazione un po’ sbandata. Anche questo è un film autobiografico su quella generazione. Come il primo. Ma anche sul rapporto tra un padre celebre, e celebre regista di film con attori bambini, che porta la figlia sul set di “Le avventure di Pinocchio” (ma quanto sono belle i frammenti che vediamo del “Pinocchio” muto di Polidor!), e poi si ritrova una figlia tossica che deve salvare dalla bocca del Pescecane.
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Curiosamente non vediamo né madre né sorelle della regista, tutto vive solo e unicamente nella dimensione padre e figlia, perché è lì il problema da risolvere. E fra loro si instaura un rapporto di vita e cinema che li porterà avanti fino al tardissimo set di “Marcellino pane e vino” a Napoli, con Francesca che fa da aiuto al vecchio padre malfermo ma felice di stare ancora sul set.
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Le parti più belle sono quelle legate al cinema, soprattutto la lavorazione di Pinocchio, con Lallo Circosta che fa il romanissimo Armando Nannuzzi, l’idea della “luce a cavallo”, tutti i recuperi dei film muti, che ci ricordano che proprio Comencini salvò dal macero e dall’oblio tanti film muti e aprì la Cineteca di Milano, Comencini che rivede “Paisà” di Rossellini, la musica di Fiorenzo Carpi per Pinocchio, Neil Young. Commovente.
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