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Adriana Marmiroli per "la Stampa" - Estratti
Adriana Marmiroli Carlo Verdone direttore artistico del Festival di Sanremo. Il suo nome campeggia a caratteri cubitali sull'ingresso dell'Ariston, affiancato da quello di Ema Stokholma. Sarebbe una buona idea, vista la sua passione e competenza musicale, e vista anche l'incertezza Rai e i dinieghi di Amadeus per un sesto Festival. In verità è fiction: siamo agli ultimi ciak della terza stagione di Vita da Carlo, in autunno su Paramount+.
Finora delle riprese, iniziate a ottobre a Roma, era trapelato molto poco: la partecipazione di alcuni big della canzone italiana. La conferma che sarebbe tornata la famigliona Verdone, l'ex moglie Monica Guerritore, la figlia Caterina De Angelis ora mamma e il fidanzato Antonio Bannò, il figlio Filippo Contri, l'amico Max Tortora, la quasi fidanzata Stefania Rocca. Ora però è lui a svelare qualche dettaglio in più.
Direttore del Festival di Sanremo: bell'idea. Lo farebbe mai?
«Un mio principio base: mai fare ciò che non sai. E il Festival non è proprio nelle mie corde. Soprattutto il conduttore: occorre esperienza. I vari Amadeus, Conti, Bonolis, ne conoscono il ritmo e hanno il polso del pubblico. Così però così mi tolgo lo sfizio».
carlo verdone 1 foto porcarelli
Il no iniziale del suo personaggio diventa un sì, proprio come nella prima stagione aveva accettato di diventare sindaco di Roma: le piacciono le situazioni impossibili?
«Come sindaco avrei dovuto scappare a gambe levate. E anche per il Festival... Uscire dalla comfort zone e mettersi nell'angolo di un ring è la mia dinamica comica preferita.
Nella serie tutto comincia quando, scoraggiato da quanto accaduto al film che sognavo di fare, decido di annunciare il mio ritiro. Poi però arriva questa proposta inattesa, e ci casco. Anch'io ho detto di no, che era una pazzia, quando uno degli sceneggiatori, ha avuto l'idea».
Che festival realizza Verdone?
«Si comincia con la ricerca del Lucio Presta della situazione, tal Tomas Formica interpretato da Giovanni Esposito. Come consulente coinvolgo Roberto D'Agostino, dagli Anni 60, uno che conosce tutti, sempre attento ai nuovi fenomeni. Ci sarà il giornalista e critico musicale Ernesto Assante, un grande amico ed esperto di musica, scomparso proprio in questi giorni: dedico questa stagione proprio a lui e a Luis Molteni, che qui ha fatto la sua ultima apparizione, sapendo di essere già malato».
Quali problemi incontra?
«Innanzitutto quello dei famosi che ti mandano una brutta canzone: da direttore artistico non mi è possibile accettare compromessi. Da monarca assoluto, romperò con il rito vetusto del festival per realizzarne uno di due ore e mezzo, senza monologhi, né ospiti, con la musica davvero al centro. Con me sul palco ci sarà Ema Stokholma: me l'hanno consigliata sia Assante che Castaldo. È giusta per ironia ed eleganza: una vera sorpresa (anche se poi il suo personaggio sarà un po' pazzo)».
Si è parlato di vari cantanti: Morandi, Nannini, Zucchero. Cosa fanno?
«Diciamo che occupano anche molti miei incubi notturni. Gianni è un mito, premuroso e affettuoso, con il miracolo di questa eterna giovinezza. Con Zucchero c'era il pregresso di quando nel 1989 avrebbe dovuto farmi la colonna musicale di Stasera a casa di Alice e invece non se ne fece nulla: ma questa volta ce l'abbiamo fatta. Quanto a Gianna, il mio babbo, di Siena, era molto amico del suo, così ci conosciamo da una vita, quando ci si incontra è tutto un parlare di contrade e musica»
In ogni stagione c'è una spina nel fianco più spina delle altre: qui a chi tocca?
«A Maccio Capatonda: nei panni di sé stesso, Marcello Macchia, fa un personaggio surreale, via di mezzo tra un deficiente e Carmelo Bene. Viene ad abitare con la madre nell'appartamento vicino al mio e diventa subito un problema che non mi levo più di torno».
L'anno scorso ha lavorato con Sangiovanni: vi siete sentiti dopo il suo abbandono?
«Gli ho scritto un lungo messaggio affettuoso. Con qualche consiglio. Anch'io all'inizio, dopo il successo di Non stop, andai in crisi, sentivo di non avere più una vita personale, avevo attacchi di panico.
Ma trovai un buono psicologo che mi disse poche cose molto utili: vai dove più hai paura, affrontala, poi complimentati con te per averla vinta. La cosa incedibile è che avessimo scritto per lui esattamente quello che poi gli è successo. Già allora mi aveva colpito la timidezza, l'introversione. Aveva avuto dubbi ad accettare, ma poi si è buttato con impegno. Molto bravo e serio. Da parte nostra l'abbiamo protetto e alla fine penso si sia anche divertito».
(...)
La Roma? Potrebbe essere un'altra delle imprese impossibili di Vita da Carlo?
«Non scherziamo. A parte il fatto che il calcio è un business perverso che non riesce a essere comico (e infatti al cinema non ha mai funzionato). Per la Roma sono contento: De Rossi, oltre a essere un amico, è un arrivo che attendevo da tempo. E fa un gioco che piace non solo ai tifosi ma anche a tutta la squadra» .
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