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Lorenzo Soria per la Stampa
Il primo Fast and Furious , un piccolo film sulla cultura dei ghetti di Los Angeles e sui ragazzi che si confrontano in gare d' auto illegali sulle strade della metropoli, incontrò subito, fin dal lontano 2001 in cui uscì, il gusto di un pubblico molto appassionato. L' amore per la velocità accomuna gli americani e gli abitanti di ogni nazione del Pianeta. Alcune sequenze erano poco plausibili ma molto spettacolari e nonostante le rivalità fossero intense, i protagonisti avevano un legame estremamente forte, quasi familiare.
Così quel piccolo film ha dato vita a una fortunata serie, giunta ora all' ottavo episodio. E i suoi protagonisti, tra gli altri Paul Walker, Vin Diesel, Michelle Rodriguez, Tyrese Gibson, Ludacris e Dwayne Johnson sono diventati ricchi e famosi. Paul Walker non c' è più. È morto nel novembre 2013, andando a schiantarsi per davvero al volante di una Porsche: la realtà che imita la fantasia. Nessuno forse ha sofferto la scomparsa di Paul più di Vin Diesel, il tipico omaccione forte e muscoloso che si emoziona e piange in pubblico. Vin ha chiamato Pauline la sua terza figlia, nata due anni fa. E oggi, mentre presenta il nuovo Fast and Furious e racconta delle scene girate a Cuba tra Dodge e Chevrolet degli Anni Cinquanta, di gare contro sottomarini tra i ghiacci dell' Islanda e di uno spettacolare inseguimento a Manhattan, indossa una t-shirt dove il volto suo e quello di Paul Walker sono raffigurati sotto la scritta «Brotherhood», fratellanza.
Vin, a forza di fare questi film sulla strada si comporta in modo diverso?
«Guido in modo molto diverso da prima perché ho figli, niente cambia il tuo stile di guida quanto avere i tuoi piccoli angeli sul sedile posteriore. Non faccio più le stupidaggini di prima, non mi lancio più coi deltaplani e non vado più in moto a 300 all' ora. In casa Diesel è il momento dei monovolume».
Il film però è una bella pubblicità per la Dodge, che è un po' italiana, essendo del gruppo Fca...
«C' è un' auto nel film che è la più veloce mai costruita. È una Dodge, ha una velocità senza senso. E il lancio dell' auto ha coinciso con quello del film».
Una delle particolarità della serie è che i buoni appartengono a varie etnie, strano a dirsi ma «Fast and Furious» è il trionfo della diversità.
«Quando ero ragazzo, non c' erano stelle del cinema non bianche. Mi ero messo in testa che sarei stato il primo, che avrei cambiato il volto di Hollywood. E sono stato fortunato.
Anche se ho iniziato a recitare a sette anni, ho fatto il mio primo film a 30 quando Spielberg mi ha chiamato per Salvate il soldato Ryan . Mi aveva visto in un film chiamato Multi-Facial che raccontava appunto la difficoltà di fare l' attore appartenendo a una minoranza e provocatoriamente spiegava ai registi perché non avrebbero dovuto prendere uno come me. Spielberg lo ha visto e ha fatto l' opposto. Anzi, ha scritto una parte apposta per me».
Un altro prodotto di questa trasformazione è Dwayne Johnson, col quale si dice ci siano stati screzi....
«Ma no, io non ho conflitti con nessuno. Dwayne, poi, è per me come un fratello, a lui tengo molto. Il problema è che in questo ultimo film ho un ruolo molto "dark", passo dalla parte oscura della storia e abbandono la famiglia. E certo, capisco che fa notizia mettersi a dire che ci sono dei problemi tra noi due, ma la realtà è esattamente l' opposto. Sono orgoglioso di avere portato Dwayne nella serie, e penso che ci abbia dato molto».
Tra le tante sfide di queste riprese, c' è stata anche quella di portare una mega-produzione americana come la vostra a Cuba.
«Quando feci il primo Fast and Furious il mio personaggio aveva una bodega cubana. Così nel 2000 per preparare il film sono andato a Cuba: ricordo di aver detto agli agenti dell' immigrazione che ero un attore e che un giorno avrei portato un film a Cuba. Mi guardavano come un matto, ma yo cumplo mis promesas . E ne sono orgoglioso».
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