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Candida Morvillo per il Corriere della Sera
Violante Placido ha scritto per «Futura», la newsletter del Corriere sull' identità, un testo sui bulli che l' hanno fatta soffrire da bambina e sul perché ama abbracciare i clochard.
Come è nato?
«Mi avevano chiesto di scrivere di "cose che mi piacciono". La sera stessa, sola sul divano, mi sono domandata quand' è che mi sono sentita davvero bene e mi sono rivista, a Los Angeles, mentre abbraccio un barbone. Me lo lasci chiamare così: a usare una parola politicamente corretta come clochard, mi sembra di mettere una distanza che non sento».
In un film, faceva sesso con George Clooney. Si fa fatica a immaginarla abbracciata a un barbone.
«Non ne ho abbracciato solo uno. Ma, quella sera, mi è venuto in mente l' episodio sul Sunset Boulevard e quel pensiero mi ha riportata a scuola, io undicenne appena arrivata a Los Angeles, smarrita e male accolta dagli altri bambini».
Ha scritto che provò un senso d' isolamento che oggi riconosce in chi è ai margini e da cui nasce la gioia di regalare un sorriso ai derelitti.
«Pur nella condizione privilegiata di figlia di attori ed emigrante di lusso, mi sentivo diversa: ero la straniera stralunata, che si vestiva strana, parlava strano e nessuno voleva essermi amico.
Le altre ragazzine già si depilavano, alcune portavano lenti a contatto colorate. Io ero intimidita, impaurita, e troppo orgogliosa per fare il primo passo».
Alzò un muro anche lei.
«I più forti erano gli altri bambini e oggi, col senno di poi, dico che il primo passo dovrebbe farlo chi è più forte, chi si sente al sicuro. Invece, più hai soldi e certezze, più ti chiudi, più ti senti minacciato. Capita con gli extracomunitari come negli ambienti di lavoro».
Gli altri bambini che muri alzarono?
«Mi facevano piccoli ricatti, sottili violenze psicologiche, non fisiche. Il rappresentante di classe aveva il compito di fare l' appello e mi faceva mettere in punizione per ritardi minimi.
Oppure qualcuno m' invitava al cinema, ma a patto che lo facessi copiare in spagnolo, in cui ero la prima della classe. Mi offrivano amicizia sotto forma di ricatto. E se invece, in classe, davo aiuto a quelli più emarginati di tutti, facevano la spia».
Facevano leva sul bisogno di sentirsi parte del gruppo?
«Il branco è veloce e, se hai bisogno di tempo per aprirti, sei subito fuori. Il branco ha bisogno di un punching-ball per sentirsi forte e la scorciatoia sta nell' accanirsi sul più debole. Comincia uno ed è come un virus».
Come insegna a suo figlio di tre anni a relazionarsi con queste dinamiche?
«Per ora, Vasco è solare, giocherellone e ha un suo senso di giustizia innato: una volta, un amichetto ha strappato un gioco a una bambina e lui è intervenuto, ha detto "ridaglielo, è suo".
Cerco innanzitutto di essere io per prima rispettosa nei suoi confronti. Non puoi chiedere a un bimbo di essere giusto se il senso di giustizia glielo insegni con la coercizione. E se gli trasmetti autostima, sarà difficile che senta il bisogno di prevaricare qualcuno».
Tornando al senzatetto sul Sunset Boulevard?
«Avevo 22 anni, era uno di quei viaggi che fai quando cerchi la tua strada. Volevo studiare recitazione e capire se potevo diventare attrice.
Sto per attraversare la strada, vedo quest' uomo malconcio. Gli do qualche moneta. Lui inizia a chiacchierare. Lo ascolto, parliamo. Poi, mentre sto per salutarlo, lui allarga le braccia, le stende e resta così. Sorrido. Lui fa un passo avanti. Mi abbraccia. Era tutto contento, come se fossimo amici da sempre. Mi ha regalato un senso di divino e una forza quasi magica per il resto della giornata».
Prima, ha detto che ha abbracciato più di un barbone.
«Ho una calamita verso gli ultimi. Un giorno, sempre a Los Angeles, leggevo annunci di case su un giornale. Fui avvicinata da un homeless che voleva aiutarmi, trovare lui un tetto per me. Abbiamo fatto telefonate, siamo andati in giro per i quartieri».
Non sarà andata a vivere con lui?
«Ovviamente no, ma lo vedevo felice ed ero felice anch' io. E ho pensato che a molti non verrebbe spontaneamente di darti un aiuto se non lo chiedi. L' empatia spiccata di queste persone è il motivo per cui spesso finiscono per strada. In una società così violenta e indifferente, se hai un animo sensibile, fai fatica a trovare il tuo posto».
Mentre scriveva per «Futura», ci siamo messaggiate e sentite all' una di notte. Ne deduco che non è una creatura diurna?
«Quando la giornata è finita e tutto si acquieta, l' inconscio è a suo agio. Anche musica e testi dei miei due album da cantautrice sono nati spesso di notte. La notte è perfetta per scrivere, perché scrivere è riflettere. Di notte, ho scritto una favola, per un progetto di "Every child is my child", la campagna per i bambini vittime della guerra in Siria».
A un certo punto, lei ha subito il marchio del privilegio, quello della figlia d' arte.
«Mi chiamarono per "Vite strozzate" e per "Jack Frusciante è uscito dal gruppo". So che il cinema è arrivato solo perché sono figlia di Michele Placido e Simonetta Stefanelli, io di mio non ci pensavo».
E tuttavia?
«Trovarmi sul set mi ha fatto ricordare che, da bambina, volevo essere Marilyn Monroe. Era quando ancora non avevo capito che quello era il lavoro che teneva i miei genitori lontani da casa».
Quindi?
«Ho capito che non ero preparata per fare l' attrice e che dovevo decidere se studiare recitazione seriamente, fare l' università o insistere con l' equitazione: sognavo le Olimpiadi».
In un' intervista, ha detto che è stata educata alla libertà.
«A casa nostra, ognuno ha sempre avuto la sua vita nelle sue mani e fatto quel che voleva. E se non hai regole e paletti, scegliere è più difficile. Però capisco i miei: sono attori e fare l' attore è un atto di ribellione, è impedire agli altri di dire chi sei».
Oggi, suo padre ha una moglie più giovane di lei e un bimbo poco più grande di suo figlio.
Come si accetta una famiglia così contemporanea?
«Comprendendo che un padre è anche un uomo e non solo tuo padre. Ma sono scelte sue, non sta a me parlarne».
Lei ha raccontato di essere una madre tradizionale.
«Nel senso protettivo del termine. Porto molto mio figlio con me. Proverò a farlo assistere al mio debutto in teatro, a fine luglio, a Verona e alla Versiliana, in "Sogno di una notte di mezza estate", diretta da Massimiliano Bruno, con Giorgio Pasotti, Stefano Fresi e Paolo Ruffini. E vorrei portarlo in tournée, l' anno prossimo. Ma non sono workaholic: per mio figlio, faccio anche rinunce».
Non essersi trasferita negli Stati Uniti dopo due film hollywoodiani, fa parte delle rinunce?
«Vasco è arrivato dopo "Ghost Rider 2", girato con Nicholas Cage. Ho scelto di dare spazio alla mia vita personale e continuo a mandare dei provini-video in America. So che per entrare in quel sistema, devi trasferirti, ma sono arrivati un compagno e un figlio e va benissimo così».
Il compagno è Massimiliano D' Epiro, 44 anni, regista. Come si sceglie l' uomo che sarà il padre dei propri figli?
«Lo senti, è qualcosa d' irrazionale. Prima, inconsciamente, cercavo storie in cui non potevo costruire. Quando ho trovato una dimensione di tranquillità, è comparso lui. E in quella serenità è arrivato, senza alcun progetto, Vasco».
Ho letto che ha detto che la scena di sesso con Clooney in «The American» era vera.
«Se l' è inventato qualcuno. Il regista Anton Corbijn è stato bravo a creare un clima di fiducia. E George ha la straordinaria capacità di sdrammatizzare».
Nicholas Cage, invece?
«È presissimo dal personaggio: ti trova sulla sua strada e ti si mangia. Però, quando è tranquillo, è senza pelle, ti racconta di sé, dei suoi figli. Una notte, finito di girare alle cinque, mi ha tenuta sveglia a parlare per ore, mangiando uova strapazzate e bevendo vino».
In quel film, l' abbiamo vista attaccata a una gru. Eppure, anni fa, ha raccontato di aver avuto attacchi di panico che le impedivano anche di guidare.
«Ne avevo sofferto in un periodo in cui ho perso delle persone care. Dovevo essere forte per chi mi stava accanto, ma ho preteso troppo da me stessa e l' emotività che credevo di poter tenere sotto controllo mi ha presentato il conto».
E oggi quanto si sente forte?
«Oggi sono mamma, non ho tempo di rimuginare su niente. Avere un figlio tiene ancorati al qui e ora».
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