DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Federico Guerrini per “La Stampa”
Un paio di anni fa, in “Tubes”, il giornalista americano Andrew Blum descriveva la mappa di connessioni fisiche che sono alla base del mondo di bit che chiamiamo Internet. Dai cavi sottomarini a quelli che attraversano i deserti, dietro l’universo digitale si cela un’infrastruttura reale, fisica. Che, come tutte le cose materiali, è potenzialmente vulnerabile ad attacchi, incidenti e sabotaggi.
A rischio, è in particolare la rotta che collega Europa, Medio Oriente e Asia, passando attraverso il Mediterraneo, dato il proliferare di focolai bellici in tale parte del globo. Dall’instabilità politica in Egitto (al largo del quale passano tutti i principali cavi sottomarini), alla guerra civile in Siria, al conflitto in Ucraina, non mancano certo i punti deboli: uno o più cavi tagliati, e milioni di persone potrebbero trovarsi d’improvviso senza Internet.
Se n’è avuto un esempio nel 2008, quando, pare per un incidente al largo di Alessandria d’Egitto e causato dall’ancora di una nave, due fra i maggiori cavi, il FLAG e il SeaMeWe-4, andarono fuori uso contemporaneamente: le conseguenze si avvertirono in Arabia Saudita, Emirati Arabi, fino al Pakistan e all’India, dove 60 milioni di navigatori non furono più in grado di collegarsi.
L’incidente spinse alcuni fra i maggiori operatori di telecomunicazioni a pensare a delle rotte alternative, in modo da poter continuare a fornire connettività anche in caso di emergenza. Fra il 2008 e il 2013 sono stati posati perciò vari cavi, sottomarini e non. Come il “Jadi”, che collega Gedda (Arabia Saudita) a Istanbul, passando per Amman e Damasco, l’Eassy, che corre lungo le coste dell’Africa; il GBI, che collega i Paesi del Golfo all’Europa e all’Asia; e l’Epeg che collega la Germania all’Oman, passando per Russia, Ucraina, Azerbaigian e Iran.
Quest’ultimo è anche il network più veloce, con un tempo di latenza (l’intervallo fra quando i dati vengono inviati e il momento della ricezione), secondo i tecnici, del 10 per cento inferiore rispetto alla rotta tradizionale. In questo modo si è accresciuta la robustezza e la capacità di risposta della Rete a eventuali danneggiamenti, ma non si sono eliminati del tutto i problemi, che dipendono in gran parte dagli equilibri geopolitici del momento.
Il territorio siriano, attraverso cui passa il Jadi è in questo momento uno dei più turbolenti: bombardamenti, e attacchi militari, oltre a un costo drammatico in termini di vite umane possono anche causare lo “spegnimento” di Internet.
È successo varie volte, in passato: uno dei guasti più significativi si è registrato nell’agosto 2013, quando l’intera città di Aleppo è stata tagliata fuori dalla Rete. In Ucraina, malgrado la situazione interna, è più difficile che incidenti di questo tipo accadano, essendo l’infrastruttura digitale assai sviluppata; non sono mancati però resoconti di sabotaggi
Secondo Renesys, società che si occupa di monitorare lo stato della connettività a livello globale, il punto di maggiore debolezza, tuttavia, rimane sempre l’Egitto, descritto dal responsabile Jim Cowie, come “un disastro globale che attende solo di accadere”.
È lì infatti che tutt’ora passa la maggior parte dei cavi che collegano l’Europa all’Asia, e se i tre principali, SMW3, SMW4, e IMEWE, venissero messi fuori uso contemporaneamente, i due continenti si troverebbero tagliati fuori in un lampo. Un incidente che li coinvolga tutti è improbabile, ma esiste anche un’alternativa inquietante: un sabotaggio. Nel marzo dello scorso anno, tre sommozzatori sono stati arrestati mentre cercavano di tagliare il cavo SMW4, che va dalla Francia a Singapore. Dell’incidente non è mai stata fornita una spiegazione.
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