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Guia Soncini per “la Repubblica”
C’è una puntata di Girls, andata in onda in febbraio sulla Hbo, in cui le quattro amiche sono al mare per il fine settimana. Per due giorni, il personaggio di Lena Dunham sta in costume. Sempre: di giorno, di sera, al supermercato, in casa. A un certo punto una delle amiche le chiede se non sia il caso di coprirsi almeno per fare la spesa.
Lena Dunham si accinge a presentare il memoir per scrivere il quale le hanno dato tre milioni e 700mila dollari d’anticipo, scrive, dirige e interpreta da tre anni la serie più interessante del presente televisivo, e sembra non esserci nulla che non sia in grado di fare. È stupefacente che sia così lucida e capace e garbata a ventott’anni, certo. Ma quel che è ancora più stupefacente è: Lena Dunham è grassa.
Non per gli standard d’obesità americani, certo, ma per essere un’intellettuale newyorkese o un’attrice di Hollywood o anche solo una p.r. milanese. Lena Dunham è un’intollerabile 48, e quel che il suo personaggio non può rispondere mentre va in onda per venti minuti in bikini è: non mi copro perché l’autrice sta facendo la rivoluzione.
Samm Newman è una diciannovenne dell’Ohio. Taglia 58, secondo il dolente racconto fatto alla Nbc. 50, a guardarla con occhio mediamente consapevole di taglie d’abbigliamento. Comunque: grassa. Si è fotografata in mutande e reggiseno e le sue foto sono state bandite da Instagram, e poi il suo account cancellato. In un paio di giorni è stato ripristinato, ma nel frattempo Samm era diventata un caso.
Perché le linee guida di Instagram proibiscono di far vedere i capezzoli, mica i rotoli di trippa. Perché, se con la scusa dell’oscenità togliete la mia foto di ragazza grassa in biancheria, state dicendo che considerate offensivo della pubblica morale non avere un peso da fotomodella.
L’Instagram della fanciulla è privato (visibile solo ai cinquecento iscritti), ma sul suo account Twitter, snicolen58, ieri c’erano pensierini come «e lei continua ad amare il suo corpo, mentre gli altri dimostravano su Twitter che gente erano, per sempre felice e contenta», o «la mia salute sono affari miei e del mio dottore».
Perché, se Newman pubblica sue foto in mutande, non abbiamo diritto di discutere del fatto che l’obesità non è proprio la più salubre delle scelte possibili. Perché, se Newman pubblica sue fotografie in mutande, non lo fa per vanità: lo fa per fare campagna per l’accettazione di un’estetica diversa dagli standard. Come si fanno le campagne oggi: a mezzo hashtag. Quelli di Newman e delle sue amiche sono #bodylove e #pizzasister4lyfe. Perché il messaggio è: quella di Instagram è discriminazione, mica leso esibizionismo.
Louis CK è un comico americano che da anni fa nella sua serie tv Louie e nei suoi spettacoli teatrali, quel che fa Lena Dunham. Esibire la propria trippa. Lui ci scherza anche molto, sul suo essere un catorcio, su come il ragazzo grasso non debba far altro che aspettare, perché prima o poi quelle carine che gli piacciono si sfasceranno e saranno alla sua portata. Solo che Louis CK è un uomo. Detto brutalmente: reagiamo diversamente, tutte, anche le meno intolleranti alla scarsa forma fisica di noi.
La spettatrice qualunque, davanti al nudo di Lena, pensa che è mirabilmente coraggiosa, che noialtre che abbiamo cosce di metà diametro e però cerchiamo un pareo per coprirci dal lettino al bar avremmo tutto da imparare. Davanti a Louis CK che si solleva la maglia e mostra i rotoli, pensiamo: è irresistibile.
Non c’entra solo l’estetica, quella per cui Mina quando si stufò di stare a dieta per i riflettori si chiuse in casa a ingrassare senza doverne rendere conto al pubblico giudizio, e per cui invece Marlon Brando si sfasciò senza problemi, e anzi risultando molto più sexy da sfatto in Ultimo tango di quanto lo fosse stato, tonico, in Fronte del porto. C’entra l’approccio della società. La puntata di Louie candidata ai prossimi premi Emmy ha per protagonista una ragazza grassa.
Che a un certo punto spiega a Louie cosa vuol dire: «Essere grassa fa schifo. Non hai idea. E il peggio è che non dovrei dirtelo. Non è previsto che dica quanto fa schifo, perché la gente non lo regge. Tu puoi andare al microfono e dire che nessuna vuole uscire con te perché sei sovrappeso: risulti adorabile. Se lo dico io, qualcuno chiama il pronto intervento suicidi ». È più discriminatorio che Instagram mi cancelli le foto, o che mi senta obbligata ad allegarci hashtag allegri?
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