DOMANDE SPARSE SUL CASO ALMASRI – CON QUALE AUTORIZZAZIONE IL TORTURATORE LIBICO VIAGGIAVA…
Quirino Conti per Dagospia
Dai tempi di una Marina Lante della Rovere pre-animalista in vetrina da Fendi (con successivo corpo a corpo tra la duchessa e le cinque sorelle per recuperare la preziosa pelliccia da lei indossata, che stentava a restituire), ne è passata di acqua sotto i ponti della Città Eterna; ma nulla sembra aver spento l’istinto a usare il luogo di esposizione del proprio prodotto come un set sul quale scaricare velleità e provocazioni eccitative. Del resto, nel caso di cui sopra, con il dovuto rispetto per l’indimenticabile modella e per il luogo, tutto lì poteva alludere alle inconfondibili vetrine a luci rosse nord-europee.
Gvasalia- Demna e il fratello Guram
Ma la smania di eccedere sembra non avere limite: anche per il fatale contributo della cosiddetta arte contemporanea o povera, che delle esibizioni e dello shock ha fatto la sua scorciatoia preferita. Tanto che, se un tempo lo stilista classico era solito portare il nuovo amante pescatoriello a rifarsi occhi e gusto in un museo archeologico, oggi non c’è fiera del contemporaneo che non veda plotoni di smaniosi stilisti gettarsi a capofitto tra quei labirinti pur di impastocchiarne poi borsette e scarpini. Per il resto, si assoldano direttamente artisti e critici, così da coglierne a getto continuo le gag più fresche.
Ora, a superare tutti – dopo che Franco Moschino dileggiando la Moda e il suo ambiente si fece un nome e un capitale (mentre Walter Albini allestiva una collezione uomo con pezzi presi a prestito dai suoi illustri colleghi) –, ci pensa il duo Gvasalia: Demna e il fratello Guram. Ospiti da Harrods con una doppia, prestigiosissima postazione per vendere le loro collezioni Vêtements (uomo e donna), hanno scelto Londra – dopo aver studiato approfonditamente il furbo Pistoletto – per usare le preziose vetrine di quel luogo mitico raccattandovi un quanto mai astuto escamotage: riempirle cioè di abiti usati.
Che, raccolti (come in parrocchia) da acquirenti o semplici visitatori, vengono lì accumulati in una sorta di “monte dei pegni”. Sì, perché costruito con il danaro – dicono loro – sperperato in acquisti incongrui e affrettati. Dunque, concludono: “Comprate meno e meglio” (naturalmente i loro prodotti, alludono le due volpi). Scaricando in quelle vetrine contese come postazione paradisiache il putrido consunto di un usato, come nel più classico mercato delle pulci.
Ebbri di felicità i creativi di Harrods per la trovata; e i due responsabili del marchio per l’attenzione indiscussa che si dà loro (anche con questo scritto), qualunque cosa dicano, ormai. Forse persino ignari di aver “scritto” con i loro accumuli una sublime profezia.
E il pubblico? Eccettuato qualche inconsapevole arabo danaroso, ignora; come sempre. Con una vita parallela ormai estranea a tutto quel che vorrebbe distrarlo dalla fatica di vivere: con volgarità di ogni genere. E intanto, tra galleristi e vetrine, i soldi corrono a fiumi.
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