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afdera franchetti henry fonda 4
Edoardo Sassi per il “Corriere della Sera”
Professione celebrity , personaggio o divina, fate voi: «Ma cosa dice caro, io non ho combinato nulla, mi creda. Ho avuto un marito straordinario, sì. E un padre straordinario. Più qualche altro angelo custode. E ho vissuto in un mondo fantastico. Tutto qua. Un’eccentrica? Non so, forse in passato. Oggi sono solo una vecchia signora col cagnetto».
Ma già da questa prima risposta si capisce che Afdera Franchetti — baronessa italiana senza età, quarta moglie di Henri Fonda e per decenni immancabile protagonista dei rotocalchi internazionali — è una donna arguta, autoironica, intelligente, magnetica come una tigre, magari un filo capricciosa ma alla fine per niente antipatica , nonostante quell’etichetta affibbiatale da Oriana Fallaci nella celebre raccolta di ritratti divenuta libro, Gli Antipatici , appunto: «Quell’articolo non è poi così cattivo, ma contiene un sacco di palle, diciamolo».
Afdera è di passaggio a Roma da Londra, dove vive ormai da tanto: «Perché, mi chiede? Ma lei ce la vede una come me, dopo Hollywood, dopo New York, l’Inghilterra, tornare a fare la vitarella qui? E poi gli inglesi sono adorabili, e Londra così civile».
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Lady Franchetti accetta di incontrare un giornalista in un pomeriggio di primavera, dispensando divertenti pillole di Afdera-pensiero e sorseggiando whisky: «Il passato, sempre il passato, odio aprire i cassetti, ma visto che insiste...». Ed ecco che nei cassetti spuntano anche foto uniche, mai viste, di Afdera giovane, bellissima, immortalata da geni dello scatto tipo Ugo Mulas o Lord Snowdon. Pezzi unici che possono valere una fortuna, ma sui quali lei è capace di riversare copiosi scarabocchi di pennarello blu per coprirsi il volto. Ma che fa, Afdera, è impazzita? «No, ma qui sono mostruosa, non mi potevo vedere».
Unica. E sono tanti, davvero, i tratti distintivi di questa creatura, a partire dal nome di battesimo scelto dal padre esploratore, Raimondo Franchetti, scopritore della Dancalia e morto in un incidente aereo quando lei era una bimba (schiatta speciale, i Franchetti, aristocrazia del pensiero e dell’azione, prima che del sangue e del denaro).
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Afdera infatti è il nome di un vulcano in Africa. Nomen omen , come dicevano i romani. E come è impossibile fermare lava e lapilli, così è impossibile fermare Afdera. A un certo punto fa lei anche le domande: «Mi dica qualcosa — gioca — di che segno è? Scorpione? Affascinante, il peggior segno del mondo, vi adoro. Ah, quella Fallaci, quando se ne andò mi disse Signora, credo sentiremo parlare ancora di lei.
Aveva ragione sa, un anno dopo ero a Rebibbia, ma sì, quella solita storia di tre sigarette portate a Schifano (marijuana , ndr), mi fermarono all’aeroporto, io all’epoca ero una cretina ingenua, ma i giornali si buttarono sulla vicenda come se avessi ucciso venti bambini. Meraviglioso, Schifano, sembrava un arabo. In carcere rimasi pochi giorni, quattro credo, e il giorno del processo Mario mi battè le manette sulle spalle, Ao’, mi disse, ma armeno il disco dei Rolling Stones che t’ho chiesto e l’hai portato? O te sei fatta sequestra’ pure quello? ».
Unica, inimitabile Afdera (anche nelle pronunce: Montreal per lei è Montreòl , Dalì, il pittore, è Dàli ). Unica e capace di snocciolare ritrattini che paiono usciti dalle pagine di Colazione da Tiffany di Truman Capote: «Gli anni 60 a New York, lei ci si sarebbe trovato benissimo, il massimo del cinema, del teatro, della pittura, della decadenza, ma tutto di enorme classe».
E via ancora con gli incontri, a centinaia: Gary (Cooper), Billy (Wilder), Marilyn («Che mani soffici, meravigliose come lei»), Hemingway («Quando mi vide a Pamplona con Henry disse a mio fratello, suo amico, Quella pazza, con Fonda che potrebbe esserle padre ), Kubrick («Quando già dava i numeri»), Visconti («In quella sua bella casa fuori Roma», via Salaria ndr ), Lucio Fontana («Gentile, garbato, mi regalò un quadro con dei buchi, l’ho rivenduto anni dopo a un tedesco. Gli amici americani lo trovavano orribile e i buchi sulla tela aumentavano perché qualcuno si divertiva ad aggiungerne di suoi»).
E oggi, Afdera? «Oggi sono un dinosauro, non ho mobàil (cellulare, ndr ), non saprei come usarlo, sono ferma a duecento anni fa, ho il terrore dell’aereo, una volta feci una tale scena, a Hong Kong mi pare, io amo Hong Kong, che un capitano incontrandomi anni dopo in un altro scalo e avendomi riconosciuta disse che se quella pazza furiosa, cioè io, saliva a bordo lui non partiva.
Ma sì, alla fine qualche volta lo prendo, ma prima bevo una bottiglia di vodka, non per tragitti brevi però, arriverei in coma. E comunque preferisco il treno, ci metto un mese a raggiungere i posti, ma per un dinosauro va bene».
Ma primo e ultimo pensiero di questo (affascinantissimo) dinosauro — che ha anche scritto un libro, Never before noon, titolo italiano Mai prima di mezzogiorno , del quale dice: «Una sciocchezza, se non sei Dostoevskij meglio evitare di scriver libri» — sono per l’adorato cane: «Mali, il più gran bastardo del mondo, sette razze in una, ora è in un castello da una stramba duchessa inglese dove segue un costosissimo corso per imparare cose orride. Lui è tutto fuori proporzione, la lingua di un cavallo, gli occhi di Audrey Hepburn e la parte privata... enorme. Ma sì, proprio quella, fuori misura. Prima o poi dovrò farlo operare».
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