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Luca Beatrice per “Libero quotidiano”
Andy Warhol è l'artista più famoso del secondo Novecento? Certamente sì e il verbo usato al presente non è un vezzo, perché nonostante sia scomparso dal lontano 1987 la sua influenza sul contemporaneo è ancora così forte da farci dire: Andy Warhol è vivo. A conferma di tale ipotesi bastano le prime immagini tratte dalla serie tv in sei episodi che Netflix manda in onda da alcuni giorni.
Gli schermi di tv, smartphone e tablet, Instagram e Tik Tok sono inondati di immagini warholiane o comunque ispirate alla sua genialità: Andy che mangia un hamburger, ossessionato dai selfie, davanti al guardaroba indeciso su cosa mettersi per la festa di domani. Non esiste infatti un protagonista dell'arte più televisivo del guru pop, produttore di icone e a sua volta iconico per la parrucca color argento, gli occhiali, il viso scavato e l'espressione ieratica, quasi assente.
Questa produzione, I diari di Andy Warhol, contiene parecchi spunti interessanti. La matrice, innanzitutto, è bastata sui colloqui quotidiani che la sua segretaria Pat Hackett trascrisse dalle lunghe telefonate. L'artista, la cui tirchiaggine era proverbiale, comincia con l'annotare tutte le spese, quindi le persone da incontrare, gli appuntamenti, le incombenze più tipiche di un direttore d'azienda che di un pittore.
Il periodo non coincide con l'età dell'oro della Pop Art ma si concentra sugli anni successivi all'attentato che Warhol subì nel 1968 per mano di Valerie Solanas, la fanatica militante femminista convinta Andy fosse la causa del suo fallimento, un periodo che la critica minimizzò, definendolo artista troppo commerciale rispetto agli anni '60 e ai suoi capolavori.
Etichettare questo lavoro, diretto e prodotto da Andrew Ross, come un documentario è in parte corretto, molte sono le immagini di repertorio, le interviste ai protagonisti della cultura newyorkese, le testimonianze delle persone a lui più vicine, non fosse per un divertente escamotage che solo la tecnologia dei nostri tempi permette.
La voce di Andy Warhol è stata ricreata da un programma di intelligenza artificiale che si è basata sulla sua reale tonalità monocorde, lui che tanto avrebbe voluto essere una macchina e compiere la propria trasformazione in un robot. A parte questo elemento di fiction che si inserisce nelle sei puntate come un filo conduttore, il resto è effettivamente documentario.
E lo sguardo, per una volta, non si posa sul personaggio pubblico, glamour, esponente dell'alta società di Manhattan, inventore dello star system e reinventore della figura dell'artista supercontemporaneo. L'indagine affonda soprattutto nel privato e ne esce un ritratto incerto, nevrotico, ansioso, discretamente paranoico.
TROPPI PERICOLI
Forse per nascondere un aspetto ritenuto ai tempi un po' scomodo si diceva che Andy fosse sostanzialmente asessuato o comunque indifferente al tema. Non è vero, Warhol era omosessuale e agognava nella propria vita la presenza di un compagno con cui condividere una vera e propria vita di coppia. Nonostante non fosse vecchio era di salute malferma, necessitava di parecchie attenzioni dopo i postumi della sparatoria, doveva controllare il peso perché spesso dimagriva a vista d'occhio ai limiti dell'anoressia.
Si innamorava di ragazzi molto più giovani attraendoli con personalità, denaro, vita mondana, promesse di celebrità però questi rapporti non erano destinati a durare troppo. Jed Johnson attraverso Warhol avrebbe voluto affermare la propria creatività in particolare nel cinema. Scrisse e diresse Bad, il più brutto film uscito dalla Factory e clamoroso insuccesso nonostante il cast hollywoodiano alternativo.
Vissero a lungo insieme e dopo la fine della loro storia arrivò Jon Gould, un ragazzone bisex palestrato che giocava più il ruolo del gigolò e che scomparve di aids nel 1986. Proprio della promiscuità, della droga e di troppa libertà sessuale Warhol era letteralmente terrorizzato e questi furono i motivi per i quali con Jean-Michel Basquiat non ci fu una vera e propria relazione ma più che altro una profonda amicizia.
Andy era infatuato dalla bellezza del ragazzo che nel frattempo diventò la nuova superstar dell'arte americana, affascinato (e forse anche invidioso) dal suo talento e dalla sua fisicità, ma prevaleva l'ipocondria e la paura del contagio. Destino volle che ad andarsene per primo sia stato proprio Andy. Arresto cardiaco dopo un banale intervento alla cistifellea, su un fisico comunque molto provato.
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