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DAGOREPORT - BERLUSCONI ALLA SCALA SI È VISTO UNA SOLA VOLTA, MA IL BERLUSCONISMO SÌ, E NON AVEVA…
1. X FACTOR SFRUTTA I SOCIAL E ROTTAMA LA RAI
Giuliano Zulin per Liberoquotidiano.it
X Factor rottama la Rai, schiava del boldrinismo e della «sua» Mission. E come risponde viale Mazzini al trionfo di ascolti e di commenti sui social network del talent canoro di Sky? Con le pecore. Sì, Fabio Fazio pensa di usare gli amati ovini come promo per il nuovo Festival di Sanremo. L'obiettivo è omaggiare il vecchio Carosello. Un salto indietro di 50 anni. Uno schiaffo ai poveri ascoltatori, che sono costretti a versare pure il canone per assistere a uno spettacolo barocco, fuori tempo, politicizzato.
Eppure Sky ha dimostrato che la tv ha ancora un futuro, se solo sa sfruttare in termini economici i social network. La piattaforma del gruppo Murdoch non ha avuto paura di sperimentare, di aprire il televoto anche a chi non spende un euro per un sms. Michele Bravi ha vinto fra 60mila concorrenti con i voti partiti dagli smartphone, da Twitter, da Facebook... Cinque milioni i voti totali. Un record assoluto addirittura a livello europeo. Segno che l'interattività piace e, cosa di non secondaria importanza, porta ascoltatori e potenzialmente nuovi abbonati.
2. X FACTOR SORPASSA SANREMO LA FINZIONE VINCE SEMPRE
di Carlo Tecce per Il Fatto Quotidiano
Quando Morgan e Mika, giudici non seriosi, per contratto scopritori di nuovi talenti, hanno invaso il palcoscenico per duettare e cantare i rispettivi successi, qualcuno avrà pensato che un'esibizione così, musicale, Fabio Fazio e Luciana Littizzetto non l'avrebbero imitata a Sanremo. Per fortuna.
La differenza fra il rito più stanco che tradizionale del Festival e l'esuberanza creativa (e così poco italiana) di X Factor sta proprio qui: a Sanremo lo spettacolo si fa canzone, su Sky la canzone si fa spettacolo. Perché la musica, se ci fosse un cronometro, stravince le chiacchiere, le interviste a vecchi attori che la Rai acquista ai saldi o al corredo di polemiche studiate a tavolino.
Il Festival non ha dilapidato il patrimonio musicale italiano che la vedeva monopolista: semplicemente, i monopoli non esistono più. à successo con Miss Italia, con il Grande Fratello, persino con il varietà del sabato sera e il contenitore domenicale: c'è un tempo per ciascuna cosa, ma non c'è un tempo per tutto.
E Viale Mazzini sbaglia, e non lo dicono i conti e neanche lo share, a mantenere in vita, come se nulla fosse successo, come se fosse in âGoodbye Lenin', a fabbricare con le stesse cuciture e la stessa stoffa un capo che non va più di moda: non per il pubblico, ma per i cantanti e le etichette. Sky ha investito milioni di euro per X Factor, non ci ha guadagnato, però ha conquistato credibilità , freschezza e vetrina. Non è la prima volta.
Ogni anno si concede questa sbornia mediatica e d'entusiasmo. Anche Sanremo è una spesa enorme per la Rai, ancora più delicata in queste stagioni di precarietà finanziaria: ma soltanto un giocatore inesperto può puntare l'intera posta sul solito cavallo. La celebrazione collettiva e unanime di X Factor è ingannevole come qualsiasi evento che non provoca neanche un minuscolo dissenso.
La finale di Milano, la puntata più seguita, aveva un tratto di involontaria finzione. Il contratto per il vincitore con la Sony, non certo un giochino, non poteva mai capitare fra le mani del gruppo di Nocera Inferiore (secondi), gli Ape Escape. E il commentino di Morgan, il "maestro" di Michele, che alludeva proprio a Sony prima di conoscere il verdetto, un sospetto l'ha lasciato.
Al risparmio, però evitabile, la comparsa di Elisa e Giorgia che dovevano promuovere il video. Inadeguato il formale Alessandro Cattelan, anche se abbastanza presente e vivace all'ultimo giro.
Coreografica la presenza di Simona Ventura. Un po' fuori forma Elio. Strepitoso Mika, mai banale Morgan. Curiosa la scritta, comparsa nei minuti conclusivi, che avvisava "marchi e prodotti ai fini pubblicitari". Il pompatissimo Marco Mengoni, che trionfò nella terza edizione, ancora in onda su Rai2, è tornato dove l'hanno plasmato. Ed è tornato a X Factor 7 da vincitore di Sanremo, l'anno scorso. Qualche ora fa, invece, Renato Zero ha declinato l'invito di Fazio per il Festival: il confronto sarebbe anacronistico, ha detto. Errore. Perché ormai vale molto, molto di più X Factor che il Festival.
3. SE X FACTOR ISPIRA SANREMO
Walter Siti per La Stampa
L'evento, il super bowl della musica, la festa, l'energia: la finale di X-Factor 7a edizione ha mantenuto le promesse in termini di fastosità e di ascolti. Ottomila persone ad affollare il Forum di Assago, acclamazioni e ritmo, 800 mq di palco, 17 telecamere, 5 milioni di voti ricevuti e due in media di spettatori, per una volta Sky in gara di audience con RaiUno. E trionfo sui social, diluvio di tweet.
I 50 minuti di ante-Factor usati sapientemente come gigantesco promo per l'azienda, l'ironia di Rocco Tanica e Matteo Bordone a trainare il prossimo Masterchef e le moto GP, e il talent di Briatore e Guerre stellari, il tutto macinato sotto lame di luce (grazie allo sponsor Enel) e nell'euforia di stare assistendo allo «spettacolo più figo di questa stagione». Confezione e comunicazione al massimo, ma il quadro che ci stava dentro com'era?
Promozione a pieni voti per il conduttore Alessandro Cattelan, buon inglese e ottima presenza, capace di mantenere sobrietà e stile pur nell'entusiasmo obbligatorio. Efficace e indiscutibile l'ormai collaudata giuria, consapevole della propria trasformazione in maschere carnevalesche: dalla fissità finto-severa di Elio ai trasformismi iper-cinetici di Morgan fino all'icona-Ventura, museificata in una scollatura neoclassica su mammelle imponenti.
La novità Mika divertente e simpatico. Per non guastare la festa tutti si esimono da osservazioni critiche, limitandosi a tartuferie quando l'elogio muore in gola. Il punto dolente sono i cantanti, che non sembrano all'altezza di tutto l'ambaradan. Né Aba, inconsistente, né Violetta con ukulele, che si esibisce in una versione country di Carla Bruni. Il vincitore annunciato Michele è il più autentico ma ancora acerbo, come rivela una timida versione di Anima fragile di Vasco. Gli Ape Escape, nocerini che mescolano con furberia rock e rap, sembrano più un fenomeno di costume («infradito is a state of mind») che di sperimentazione musicale.
Ma lo spettacolo c'è, e come. Il direttore artistico Luca Tommassini sa rendere attraente anche l'ovvio o l'immaturo. La macchina è lì pronta ad accogliere musica migliore. Se per caso si volesse dare una rinfrescata a quella che Morgan chiama «l'innominabile kermesse», cioè Sanremo, questa è una delle strade possibili: farne un rodeo dal vivo all'americana, senza paura del pop estremo e senza pause pensose con zavorre politico-letterarie, avendo il divertimento come unico fine che diventa sociologicamente esemplare.
L'altra strada è il mood-De Filippi, farne un semi-reality dove dei giovani cantanti si apprezzi più la biografia che la voce. Sarebbe più in economia, certamente, ma anche un ulteriore scivolamento verso l'Italietta ultra-provinciale.
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