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INTERVISTA DEL 2015 - Malcom Pagani e Fabrizio Corallo per Il Fatto Quotidiano
visconti, vitti, zeffirelli, bose estate 1949
Sculture, quadri e lacrime: “Non sono un dio, ma un uomo semplice. Piangere è una consolazione. Un conforto. Una debolezza umana. Un impulso primitivo. Come fai a fermare un impulso primitivo?”.
Oltre la finestra, più in là del giardino della sua Villa a sud di Roma, le domande di Franco Zeffirelli guardano al dolce domani. “Alla morte penso in continuazione, forse perché ho visto morire troppa gente. L’idea di non essere più qui è terribile, ma sono cristiano, venero il Vangelo e non posso che credere a quel che Cristo ha detto sulla vita eterna. Se vengo colto da improvvisi dubbi, li tacito con la fede. Non è in fondo, sempre e soltanto tutta una questione di fiducia?”.
A Febbraio, Gianfranco Corsi in arte Zeffirelli ha compiuto 92 anni. Su una sedia, alternando sorrisi e cupezze, l’uomo che chiamano “maestro” osserva gli interlocutori occasionali con l’occhio azzurro e il guizzo curioso del professore che non si è stancato di discutere: “Mi sono incazzato spesso e spessissimo ho fatto incazzare gli altri. A volte, quando sono caduto in errore, mi è capitato persino di chiedere scusa. Se conosci la storia del mondo e della cultura, tentare di farsi perdonare non rappresenta un peso”.
franco zeffirelli e richard burton
Alle pareti e sul pianoforte, le istantanee di un’esistenza intera. Fotografie di Benedetto XVI, Madre Teresa di Calcutta, Laurence Olivier, Silvio Berlusconi. Le stagioni si sono succedute una dopo l’altra, ma l’inverno del 2015 non coincide con quello del suo scontento. Dopo molti equivoci e qualche improvvisa frenata, Firenze sembra finalmente incline a concedere al più polemico tra i suoi registi un museo.
franco zeffirelli e luchino visconti
Il vecchio tribunale: “L’unico monumento barocco della città”, a due passi da Palazzo Vecchio e Piazza della Signoria, come scrigno per contenere le sue opere, i frammenti dell’esistenza, le schegge del passato, le regie liriche e teatrali, le memorie dei suoi tanti film, le molteplici candidature agli Oscar: “Dovreste vedere quel che ho accumulato. Questo museo è un miracolo divino. Nel vecchio tribunale andai a vedere un concertino molti anni fa e mi resi subito conto di che meraviglia fosse. ‘Sarebbe un sogno portarci le mie opere’ pensai. Ora quell’aspirazione si avvera. Non credo ai miei occhi e trattengo il fiato. Di futura inaugurazione non voglio neanche parlar troppo”.
franco zeffirelli e maria callas
Perché signor Zeffirelli?
Per scaramanzia e realismo. Se i comunisti andassero al potere lo chiuderebbero subito il mio museo.
Ma i comunisti sono quasi estinti.
Non credo proprio. Esistono, esistono. E sono sempre della stessa pasta di un tempo.
Non le sono mai stati simpatici.
Li ho visti in azione, fin da ragazzo. Sono stato partigiano e dai comunisti, in montagna, sono stato quasi ammazzato. Ho visto cose atroci durante la guerra. Corpi inermi, facce bianche per la paura, pastorelli, monache smarrite, gente ignara della storia che mi moriva tra le braccia affidandomi gli ultimi pensieri, i rimpianti e le cose non dette. Cose tragiche e bellissime.
L’esperienza della guerra la segnò?
zeffirelli visconti alla scala
Mi aiutò ad aprire ulteriormente gli occhi sul mondo. Del male e del bene avevo già un’opinione precisa, ma la guerra stravolse le percezioni. Un’enorme punizione a cielo aperto. Una sorta di Giudizio Universale. Un nugolo di innocenti mandati al macello in contesti anche geograficamente molto severi. Cosa avevano fatto di male?
Lei era molto giovane.
E assistevo, appena maggiorenne, alla dissoluzione degli ideali con i quali eravamo cresciuti. Cadevano tutti insieme e insieme a loro, veniva giù anche il sipario. Le parate, le amenità inutili, l’autarchia grottesca. Mio zio era socialista e a casa, fascisti intorno non ne avevo. Mio padre importava lana scozzese e si era messo in testa che dovessi imparare l’inglese per dargli una mano e forse, un giorno lontano, succedergli. Frequentavo gli inglesi, li incontravo al Caffè Doney e il dato generava sospetto tra i miei coetanei: “Vinceranno loro, il ragazzo si prepara un comodo futuro”.
franco zeffirelli e maria callas
Erano gli anni delle adunate. L’epoca della perfida, merdosa Albione.
Con gli inglesi in effetti collaborai poi attivamente. Ma all’epoca, ben prima che lo scenario bellico precipitasse, anche il solo parlarci, in un certo senso, per molti significava tradire alla base i valori del fascismo.
Per lei erano valori fondanti?
I fascisti erano dei poveretti. Poveri sognatori che si illuminavano di prepotenze, piccineria e voce grossa nelle adunate. A Firenze si scendeva spesso in piazza. Noi ragazzi storpiavamo le canzoni del ventennio. Ci divertivamo, ribaldi, a reinterpretare i motivetti. Sulle arie di “Giovinezza, giovinezza”, improvvisavamo: “Giovinetta, giovinetta, cazzo largo e fica stretta”.
franco zeffirelli con l'amata zia lide
Ma i fascisti, diceva, erano poveretti.
Gente che una volta messa al muro dagli alleati, si rivelava vulnerabile. Il fascista, come tutti gli altri uomini, era solo un involucro pronto ad afflosciarsi. Un essere tremante di fronte al plotone di esecuzione. Padri e figli, impauriti. Bianchi come cenci. Ho visto tanto dolore. Tanto orrore. Un tempo brutto la guerra. Ma brutto, brutto, brutto.
Come aveva imparato l’inglese?
Grazie a Miss Mary O’Neill. La incontravo in una stanza modesta del centro, sempre alla stessa ora, tre volte alla settimana. Miss O’Neill non era l’imperatrice di un popolo oppressore, ma una donna semplice e soave che mi forniva i rudimenti della lingua di Shakespeare, amava l’Italia e guardava al nostro paese con occhio benevolo e paziente: “Che peccato” diceva “siete cascati nell’inganno di Mussolini, una trappola che non meritavate”.
A un certo punto il Fascismo crollò.
ALBERTAZZI WERTMULLER ZEFFIRELLI
E dopo il diploma all’Accademia di Belle Arti e qualche comparsata, io incontrai Visconti. Di Luchino ero innamorato alla greca. Un amore viscerale e profondo. Mi impregnavo della sua grandezza e della sua superbia e in cambio, lui mi offriva affetto. Era colto, altero, rabbioso, complesso. Mi affidò la scenografia di Un Tram chiamato desiderio, trascorremmo insieme anni meravigliosi. Tra noi c’era una comunicazione profonda.
Poi l’affetto svanì.
L’avevo conosciuto al tempo del suo autoesilio in Francia. Io uscivo dal guscio antifascista e lui era chiaramente antifascista.
Chiaramente comunista soprattutto.
Amavo Visconti, ma detestavo i comunisti. A dire il vero li detestava anche lui, ma non poteva dirlo. Quando il conflitto ideologico si acuì, iniziò a incrinarsi anche l’amicizia.
La vulgata racconta che il litigio tra voi deflagrò per un’inopinata convocazione in commissariato.
Ci fu un furto in casa Visconti e Luchino fece chiamare tutti a deporre di fronte alle forze di Pubblica Sicurezza. La servitù, i parenti stretti, gli amici cari. Mi offesi molto. Luchino di certe mattane era capace. Una volta fece licenziare un domestico perché a suo dire si era dimenticato di lisciare a dovere i felini di casa. Le contraddizioni, anche interiori, per Visconti erano all’ordine del giorno. “Vedrete quando sarete più in là con la storia del mondo”, giurava, “se Marx aveva o meno ragione”.
FRANCO ZEFFIRELLI E KATIA RICCIARELLI
Inutile dire che per lei Marx aveva torto.
Respiravo conformismo, l’universo artistico, a iniziare dai cineasti e dagli scrittori, propagava un unico verbo. Non si poteva dire che non si era comunisti. La cultura era uno strumento di penetrazione delle coscienze e il Pci se ne era impossessato. Bisognava pensare a sinistra per forza e io non volevo pensare né a sinistra né a destra. Guardavo agli ideali della Roma antica o agli insegnamenti del Rinascimento.
I rapporti con i suoi colleghi com’erano?
Per lo più civili. Certo, il cinema a tesi di certi registi mi irritava e se andavo a vedere un’opera di Petri, raramente mi illuminavo. Sono stato sempre in perfetta armonia con i miei pensieri segreti e non di rado, in certe riunioni plenarie con i comunisti, mi sono trattenuto dall’esprimere il disgusto. “Come può arrivare a un simile punto di merda il cervello umano?” mi domandavo.
E cosa si rispondeva?
Che tenere famiglia era un gran problema. Di sicuro i compagni della macchina da presa la fecero pagar cara a tanti talenti che ebbero l’ardire di non schierarsi. In un certo senso, per paradosso, l’anatema del partito era uno dei massimi crucci di Visconti. Si era dovuto schierare in casa propria e soffriva per l’ostracismo degli americani. Gli inglesi se ne fregavano dell’orientamento politico. Erano laici: “If you want to be communist, be communist”. Gli americani, no. Gli americani erano inclementi.
Lei ha conosciuto anche Pasolini.
Era innamorato di un mio amico e gli faceva passare le pene dell’inferno perché quel cretino aveva abboccato alla sua filosofia. Facevano cose turche.
A quale filosofia aveva abboccato il suo amico?
Una filosofia primaria. La sintesi? “Faccio i cazzi miei”.
Letterariamente e cinematograficamente Pasolini la convinceva?
Non mi piacevano né i suoi film, né i suoi libri. Erano una riproposizione fuori tempo massimo del Neorealismo, cioè di qualcosa inventato negli ultimi anni del Fascismo.
La parabola di Pasolini ebbe un epilogo bestiale.
Nel privato si diceva “Ben gli sta morire in quel modo”. Da un lato, per indole e ascendenza, Pasolini familiarizzava con i giovani conservatori più borghesi. Ma quando la storia diventava una noiosa questione di letto, fuggiva. Cercava altro. Il maschio ferino. Il maschio popolaresco.
Lei ha detto più volte di provare irritazione per la parola gay.
L’idea che all’omosessualità corrisponda una gioia forzata, da arcobaleno obbligato e da circo permanente non mi ha mai persuaso. Non mi sentivo di appartenere a nessun movimento e sessualmente, ho sempre fatto le cose che preferivo. Non senza costi. Non senza prezzi da pagare. Andavo un po’ di qua e un po’ di là. Visconti mi capiva, ma a volte si incazzava. Una volta presi una piccola sbandata per la figlia di una principessa e Luchino si irritò: “Non la devi vedere mai più, ma lo sai da che famiglia viene? Da una famiglia di assassini”.
zeffirelli con visconti e la callas
È contento dei film che ha girato?
Sono contento di non aver mai scelto un progetto per ragioni alimentari. Ho sempre cercato di conservare un punto di vista originale, ma non c’è un film a cui mi senta più legato. Sono tutti figli miei.
rene burri maria callas philadelphia usa 1959
Il primo, Camping, è datato 1957.
Quello era un’escursione innocente. Un divertimento inoffensivo.
Che ricordo ha della sua amicizia con Maria Callas?
Artista straordinaria e donna sublime. La conobbi a Dallas, ai tempi de La Traviata. Diventammo come fratelli. Maria era greca. Tragica. Assolutista. Un giorno, un certo luogo era il posto migliore del mondo e quello dopo, l’inferno. Il suo grande problema era la figura paterna. Le era mancata e lei andava cercandola ovunque. In vecchi orrendi come Onassis, nei capitalisti senz’anima, in uomini barbuti, gonfi, caduchi. “Che peccato che non ti piacciano le donne” mi diceva e io di rimando “Stai tranquilla, non è che non mi piaci, ma non farei mai l’amore con una mia amica”. Cremarla e spargere le sue ceneri nell’Egeo fu terribile. Diede profonda soddisfazione a tutti quelli, ed erano tanti, che l’avevano odiata. Per anni in Grecia non ho più messo piede.
franco zeffirelli cappelle medicee
Le piace il cinema italiano di oggi?
Quale cinema? Non c’è più. Non esiste. Qualche punta d’eccellenza, penso a Bertolucci ad esempio , l’abbiamo avuta. Oggi ci restano i ricordi. E i ricordi non bastano ad accorrere in sala.
Per anni lei è andato allo stadio. Tifoso della Fiorentina. Antijuventino per scelta e convinzione.
A calcio ho anche giocato, da mezzala, nella Giovanni Berta. Occuparsi di calcio è un trucco per rimanere giovani. A comportarsi in maniera puerile, a urlare come pazzi per i propri colori, a dipanare i propri riti non si invecchia mai. Il pallone, è vero, accende gli animi. Qualche volta si trascende e altre, si diventa animali. Ma c’è qualcosa di straordinario anche nella rappresentazione, non solo figurata, di un sentimento di guerra. Ognuno ha i suoi mostri.
gina lollobrigida e franco zeffirelli
Anche lei, Zeffirelli?
Non faccio eccezione. Pensate che per la Fiorentina sono anche andato in coma. Era l’anno dello scudetto, ero sulla macchina di Gina Lollobrigida e stavamo andando a vedere la partita con il Cagliari. Lei guidava come una matta e avemmo un incidente. Stetti a letto per mesi. Appena mi rimisi in piedi corsi di nuovo allo stadio, appena in tempo per festeggiare il titolo. Oggi quell’ardore da monello incontinente è svanito.
Della Valle, il patron attuale della Fiorentina, le piace?
Lo conosco poco, ma lo dovrei conoscere meglio. Ho bisogno dei suoi soldi. (Ride).
Quante volte si è innamorato nella vita?
Non le conto, ma bisognerebbe intendersi sulla parola amore. Dalla a alla z, poche volte. Ma dalla a alla c, moltissime. Specialmente con il calcio.
Da almeno un trentennio, del calcio si sono innamorati anche i produttori cinematografici.
federico fellini franco zeffirelli
Vittorio Cecchi Gori, paonazzo sulla balaustra dell’Artemio Franchi, mi pare ancora di vederlo. Mario, suo padre, voleva prendere tutte le decisioni. Ma non è vero che Vittorio non avesse personalità né idee. Diciamo che senza fare qualche guaio i soldi non si fanno. Honorè de Balzac sosteneva che dietro ogni grande fortuna ci fosse un crimine. Per una bocca da riempire ne esiste sempre una da svuotare.
Lei è stato senatore di Forza Italia. La appassiona ancora la politica?
zeffirelli tognazzi, baudo, arbore, liza minnelli, boncompagni
Poco o nulla. Covo speranze nell’umanità, non nella politica.
Disse che in altri paesi Craxi sarebbe stato impiccato e che la faccia di D’Alema le provocava seri sommovimenti gastrici.
Confermo. Lo so dove volete arrivare, volete arrivare a Berlusconi.
Siete ancora in buoni rapporti?
Siamo amici, adesso più di ieri. La grande differenza tra Berlusconi e tutti gli altri è che lui ha costruito una straordinaria carriera finanziaria e in politica si è mosso più con la forza dei soldi che con i principi morali. Principi morali non ne vedo tanti, specialmente con le donne.
Glielo ha detto?
zeffirelli con visconti e la callas
Ne abbiamo discusso. Ultimamente mi ha fatto avere una sua biografia scritta da un americano: “Franco, gli puoi dare un’occhiata? Io non ho tempo”. “Presidente” gli ho detto “Io purtroppo ne ho meno di lei”.
E del suo concittadino Renzi? Qualcuno lo ha paragonato a Berlusconi.
Paragone improprio. Non credo sia possibile diventare il nuovo Berlusconi e non solo per ragioni economiche.
ZEFFIRELLI SI INCHINA ALLA REGINA ELISABETTA
A Papa Francesco lei ha dedicato un libro.
Non c’è stato nessun segnale, forse non l’ha gradito. Francesco è cambiato, non mi piace più. Si è messo a fare l’uomo qualunque e un Papa, uomo qualunque non può essere.
La vedremo ancora a dirigere un film?
Avrei i cassetti pieni di sceneggiature, un progetto sui Medici, uno sui grandi fiorentini, ma non accadrà mai più. Non ho più l’energia per bruciare i traguardi della vita. Non ho più la fiamma e non ho voglia di fare la questua. Non l’ho mai fatta, non inizio certo adesso.
VALENTINA CORTESE E FRANCO ZEFFIRELLI
Monicelli girò il suo ultimo film, “Le rose nel deserto”, a quasi 92 anni.
Mario era un bravo regista ed un buon uomo, ma dite la verità, era forse straordinario l’ultimo capitolo della sua cinematografia? Lasciare a tempo debito è un’arte. Non voglio sporcare nulla. Non voglio chiedere. I prati che ho calpestato voglio ricordarmeli tutti in fiore.
ZEFFIRELLI ROSI franco zeffirelli FRANCO ZEFFIRELLI CARLA FRACCI VALERIA MARINI
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