1. MEDIASET, VIVENDI, DIGITAL PLUS: UNA PIATTAFORMA PER BATTERE NETFLIX
Giovanni Pons per ''Affari e Finanza - la Repubblica''
netflix
Vivendi, le major cinematografiche americane e le altre media company del Sud Europa, Mediaset e Telefonica. Un'inedita alleanza che punta a contrastare il mostro chiamato Netflix che negli Stati Uniti ha messo in crisi e rivoluzionato il mondo della tv a pagamento.
Nel quartier generale di Vivendi a Parigi, il colosso dei contenuti per i media guidato con tratto deciso da Vincent Bollorè e Arnaud de Puyfontaine, da almeno un anno il principale tema di discussione riguarda la minaccia al proprio business che sta arrivando dalla streaming tv americana. Le major, Universal, Paramount, Warner Bros, Columbia, solo per citarne alcune, sono strette tra due fuochi e sono quelle che stanno soffrendo di più della trasformazione in atto. Ma devono piangere su se stesse.
vincent bollore
Quando è nata Netflix, nel 2008, ed è cominciata l'era della tv via internet, sono state ben contente di vendere i propri vecchi cataloghi a questo nuovo mezzo di comunicazione. Ma in questo modo hanno contribuito a creare un brand potentissimo che dal 2011 ha cominciato a investire per produrre contenuti in proprio facendo concorrenza ai suoi stessi fornitori. Ormai è abbastanza acclarato che il modello di business Svod (Subscription video on demand) è quello vincente poiché permette all'utente di accedere a tutto il catalogo a prezzi contenuti e senza altri costi.
E senza pirateria. Così tutti si stanno adattando imparando dalla società guidata da Reed Hastings che in pochi anni ha superato i 74 milioni di abbonati paganti e prevede di arrivare alla soglia dei 100 milioni nei prossimi due anni. Una base clienti enorme che permette di impiegare grandi risorse nelle produzioni proprie di contenuti: "Content is king", si usa dire negli Stati Uniti da qualche anno a questa parte.
vincent bollore vivendi
E la minaccia in prospettiva arriva anche dai grandi aggregatori digitali come Amazon, Facebook e Apple, che possono contare su basi di clienti amplissime e stanno approcciando il mondo della produzione di contenuti per offrirli ai loro clienti monetizzando quanto più possibile.
Gli altri player che stanno battendo in testa sono le pay tv che basano la loro offerta principalmente sugli eventi sportivi. Pagano tanto per i diritti e hanno bisogno di costosi abbonamenti per rientrare di questi costi. In più lo sport è un prodotto che si consuma e si butta, non viene rivenduto nel tempo. Sky si è mossa per prima per difendere le proprie posizioni in Europa unendo le forze dove era presente, Gran Bretagna, Germania, Italia, Austria e Irlanda, tagliando i costi e investendo sempre più risorse nelle produzioni proprie come Gomorra o The Young Pope.
TARAK BEN AMMAR BOLLORe? PADRE E FIGLIA
Canal Plus in Francia ha invece subito l'attacco dei qatarini di BeIn che hanno conquistato i diritti del calcio a suon di petrodollari. E Mediaset ha avuto la non brillante idea di abbandonare Endemol e investire grandi risorse nel creare il secondo operatore di pay tv in un mercato comunque limitato come l'Italia. Adesso però i nodi stanno venendo al pettine e si sta facendo strada l'idea che l'unione di più debolezze può far nascere un campione.
Netflix è già molto forte nel Nord Europa, in Scandinavia e Gran Bretagna ha raggiunto tassi di penetrazione pari al 25-30%, mentre c'è ancora tempo, ma non troppo, per creare un nuovo Over the top nei mercati del Sud Europa.
Alla testa di questo plotone si è messa Vivendi, un po' per scelta e un po' per necessità, in quanto proprietaria della febbricitante Canal Plus e anche grande produttore di contenuti (Universal music controlla il 40% del mercato mondiale della musica). Il cemento per far confluire due o tre major americane in un nuovo Over the top alternativo a Netflix lo sta fabbricando Tarak Ben Ammar, imprenditore franco tunisino da anni operante nel settore delle produzioni cinematografiche e chiamato da Bollorè anche nel board di Vivendi.
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Nell'ultimo anno ha passato diverso tempo negli Stati Uniti a studiare il fenomeno Netflix ma soprattutto ha captato la disponibilità di alcuni grossi nomi del cinema a partecipare a un progetto del genere. Sia come azionisti di minoranza sia come fornitori di contenuti alla nuova piattaforma. Mettendo insieme Canal Play (Canal Plus), Infinity (Mediaset), Yomvi (Telefonica) e Watchever (Vivendi in Germania) e due o tre major con cui si sono intavolati i discorsi, potrebbe sorgere un'entità con una buona potenza di fuoco.
dipendenza da netflix
L'idea è quella di produrre tra 5 e 10 serie tv all'anno con formato di 10 ore per fidelizzare la propria clientela. Vuol dire un investimento di circa 400 milioni all'anno visto che la produzione di ogni serie costa circa 40 milioni. Il nome dell'anti Netflix, anche se non definitivo, potrebbe essere proprio Watchever (vedi dovunque serie tv, cinema, giochi, musica, concerti live) che venderebbe i propri contenuti a un prezzo di 10-11 euro, cioè in diretta concorrenza con il colosso creato da Hastings. E ciò spiega anche la recente campagna acquisti di Vivendi nel campo delle società di produzione televisive, come il 26,2% in Banijai Zodiac per 390 milioni di euro o le trattative con Cattleya.
Questo il progetto, a cui però si sta aggiungendo una coda non prevista inizialmente. Le trattative tra Bollorè e la famiglia Berlusconi hanno preso una piega diversa per la particolare condizione in cui versa la pay tv Mediaset Premium e in generale il gruppo fondato dall'attuale capo di Forza Italia. Mediaset Premium rappresenta la scommessa di Pier Silvio Berlusconi contro Sky, presente in Italia dal 2003 con la tv a pagamento.
netflix
Per aggiudicarsi i diritti della Champions League, Premium ha dovuto sborsare una cifra al di sopra delle sue possibilità, 710 milioni in tre anni, nella speranza di catturare nuovi abbonati in grado di giustificare l'operazione. Ma per il momento la crescita dei clienti è molto al di sotto delle aspettative e Berlusconi sta cercando di aggregare Premium a qualche altro gruppo dei media con le spalle forti. Le trattative con Sky di un anno fa non sono andate a buon fine anche per il prezzo spropositato chiesto da Mediaset, circa un miliardo di euro, e così anche quelle con Al Jazeera e il Qatar che inizialmente si erano mostrati interessati.
TED SARANDOS DI NETFLIX CON HARVEY WEINSTEIN
Ora Berlusconi sta cercando di attaccare la zavorra di Premium alla joint venture degli Over the top facendo intravvedere sinergie da un'ipotetica aggregazione con Canal Plus nell'acquisto dei diritti degli eventi sportivi. Ma non sembra che i benefici siano rilevanti, mentre invece l'unica sicurezza per i francesi sarebbe l'accollo delle perdite cui inevitabilmente Premium andrà incontro nei prossimi tre anni. L'unico interesse da parte di Bollorè sarebbe quello di prendere Premium per far sua tutta Mediaset in un secondo tempo, entrando così nel campo della televisione "free to air" italiana che guadagna e si aggiudica ancora una grossa fetta della pubblicità aziendale.
Tuttavia la famiglia Berlusconi non sembra ancora pronta per un passo in questa direzione anche se il capostipite compie 80 anni e Pier Silvio non sembra avere quella visione strategica necessaria a far crescere il gruppo in un settore competitivo come i nuovi media. Mediaset aveva avuto un'intuizione corretta quando a metà degli anni 2000 era entrata in Endemol, produttore di contenuti a livello internazionale.
de puyfontaine mediaset vivendi
Ma l'euforia di quegli anni ha confezionato un'operazione con una leva finanziaria troppo elevata che ha costretto il gruppo del Biscione nel 2012 a mollare la presa per concentrare le risorse sul business della pay tv. Una scelta che si sta rivelando errata viste le dinamiche successive: basti pensare che Endemol, che oggi fattura 2 miliardi e produce un ebitda di circa 230 milioni è stata acquistata dalla Fox di Rupert Murdoch. Il doppio passo falso di Pier Silvio rischia di pesare non poco sul futuro del gruppo di Cologno Monzese e sull'intero sistema dei media italiano.
2. MENO CALCIO, PIÙ FILM E SERIE - SKY, RAI E I PRODUTTORI ALLA GUERRA DEI CONTENUTI
Stefano Carli per ''Affari & Finanza - la Repubblica''
piersilvio berlusconi mediaset vivendi
Roma Sky che entra sempre di più nella produzione di film e serie tv italiane. I maggiori produttori indipendenti, da Cattleya a Lucisano a Palomar che sognano una United Artist in salsa tricolore. Mediaset che invece proprio sulle produzioni italiane riduce gli investimenti. La pay che si ferma, il calcio in tv che va sempre più piano. Netflix che sembra ancora ferma sui 200 mila utenti, meno della metà di TimVision che veleggia verso i 500 mila, e che entro fine anno dovrà anche guardarsi allo sbarco di Amazon Prime Italia.
E’ un mercato in fermento quello televisivo italiano, corroborato da una buona notizia (la ripresa della pubblicità (oltre il 4% in gennaio) e da una inaspettata conferma: la regina del video è ancora e sempre lei, la televisione, con i suoi canali, i suoi palinsesti e i suoi eventi. Quest’ultima novità è tanto più significativa perché i dati vengono dal mercato inglese, quello più avanzato dal punto di vista dei nuovi modi di fruizione.
andrea zappia
Nel 2015, secondo uno studio di Thinkbox pubblicato negli scorsi giorni il tempo medio giornaliero dedicato a guardare video è cresciuto, la quota della tv (tra pay, in chiaro, programmi dei broadcaster visti online) è sì arretrata di 5 punti, ma è ancora al 76% a dispetto di smartphone e tablet e a dispetto di Netflix, YouTube, Facebook e quant’altri, che crescono ma ciascuno di uno o due punti percentuali. La marea degli assedianti insomma resta ancora ai margini. Tutto questo spiega l’attivismo dei broadcaster tradizionali che intravedono una via d’uscita dall’angolo in cui sembravano finiti. Ma non si sta tornando indietro: lo scenario cambia.
L’oggetto del desiderio resta la conquista di contenuti pregiati ma mentre fino a un anno fa tutto ruotava attorno alle aste miliardarie del calcio, ora ci si torna a concentrare su film e serie tv grazie a una nuova certezza: il polo dei telespettatori non cerca tanto eventi unici da inseguire da una piattaforma all’altra ma contenuti di qualità, sia per trama di racconto che per qualità di immagini. E tutto questo viene garantito dalla fedeltà a marchi affidabili. Come spiegare altrimenti eventi come il mancato travaso di abbonati da Sky a Mediaset Premium nonostante il cambio di casacca delle partite di Champions?
campo dall'orto rai
O i record di audience di San-Remo o Montalbano? C’è anche la riprova: mercoledì scorso Bayern-Juve su Premium si è fermata a un milione di audience. Barcellona- Arsenal, in chiaro su Canale5, 1,2 milioni, esattamente quanto Hunger Games, blockbuster per giovanissimi programmato a sorpresa su Italia1 in prima serata e quasi senza preavviso, che ha così racimolato solo un 5,5% di share. E pensare che si tratta di un film che Mediaset ha sottratto alla finestra pay (avrebbe cioè potuto valorizzarlo per i suoi abbonati Premium) ma lo ha sacrificato – pare invano - per contrastare la prima puntata di “Italia’s got talent” su Tv8, il secondo canale generalista in chiaro di Sky. Anche la corsa dei nuovi broadcaster ai canali in chiaro è un sintomo.
commissario montalbano 6
Detto di Sky, in casa Discovery stanno arricchendo la programmazione dei due capofila Nove (ex DeeJay Tv) e D-Max. Viacom ha appena lanciato Paramount Channel e sta cambiando la programmazione di Mtv, con sempre meno musica e più film. «La pay tv in Europa non cresce più ormai da qualche anno in termini di abbonati - spiega Augusto Preta, direttore di It Media - per questo la concorrenza anche tra le due piattaforme pay italiane si sta spostando sull’online e la pubblicità. Investire per spostare abbonati dall’una all’altra richiede risorse ingenti senza garantire nel breve periodo risultati apprezzabili». Tutto questo spiega in gran parte la pausa nelle trattative tra Vivendi e la famiglia Berlusconi.
allegri
Per Bollorè prendere la sola Premium, che continua a perdere e non sembra avere prospettive solide di sviluppo, non ha senso, almeno dal punto di vista industriale (al netto cioè di considerazioni politico-diplomatiche) mentre ne avrebbe prendere tutto il Biscione, ossia la tv in chiaro in Italia e in Spagna. D’altra parte anche Mediaset, non è in un periodo di vacche grasse. Lo share barcolla. E anche sul fronte dei contenuti si muove sulla difensiva. Sta riducendo gli investimenti, come numero di film.
I ricavi di Medusa reggono soprattutto grazie al miracolo Checco Zalone, ma il resto della library proprietaria, che può dare i margini maggiori, viene data in sofferenza. Per sostenere i titoli ha appena firmato un accordo per l’esclusiva dei film della Warner per cinque anni. E questa mossa ha creato un altro scossone. I produttori italiani oggi si ritrovano a dipendere soprattutto da Viale Mazzini, che propone però contratti di sola coproduzione e ha ormai una coda di titoli che quasi non riesce a smaltire. Inoltre la contitolarità dei diritti fa sì che sia poi RaiCinema a trattare la vendita ad altre piattaforme, compreso Netflix e l’estero.
proiettore e doppio telecomando per stanza netflix
E Netflix è la ragione che rende freddi molti produttori a cercare accordi con Warner, che cede i suoi titoli solo a Mediaset escludendoli così dalla presenza sulla piattaforma del gruppo Usa. Di qui nasce l’idea della Cattleya di Riccardo Tozzi, di Fulvio Lucisano, di Wildside, Palomar e di Indiana Production di unire le forze. E qui si inserisce Sky Italia, che potrebbe inserirsi nella partita in due modi.
O partecipando direttamente a una joint venture o con una partnership commerciale. In entrambi i casi l’obiettivo è lasciare ai produttori la titolarità del 100% dei loro diritti da cedere poi alle varie piattaforme. Non sarà una guerra contro la Rai, visto che l’ad di Sky Andrea Zappia e il dg Rai Antonio Campo Dell’Orto si sono già visti due volte e hanno trovato una quadra in base alla quale Sky lascerà a Rai i diritti in chiaro delle produzioni che verranno fuori da questa nuova realtà.
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E questo consentirà alla stessa Rai di razionalizzare i suoi budget utilizzandoli in modo più mirato e meno “a pioggia” come avviene ora, in un modo che alla fine sortisce più che altro l’effetto di deprezzare le produzioni italiane. Film e serie sono dunque il nuovo oro del mercato video. E’ per questo che nelle scorse settimane a Bruxelles i rappresentanti di Netflix e Amazon hanno raccontato agli esponenti della Commissione Ue praticamente la stessa cosa: garantiscono che in ogni mercato nazionale in cui entreranno la loro intenzione è investire in produzioni.
Anche perché a differenza di quanto è avvenuto negli Usa, la crescita di Netflix in Europa, peraltro non travolgente, è comunque avvenuta soprattutto grazie ai titoli in esclusiva: prodotti, come Narcos o Marco Polo, o comprati, come Gotham. E per questo che Bollorè, aspettando Mediaset, ha intanto preso il 30% di Banijay, astro nascente europeo della produzione di format tv, guidata da Marco Bassetti.