Melania Rizzoli per “Libero Quotidiano”
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È una nuova malattia che non ha un agente patogeno, ma è letale e conduce al decesso. È stata chiamata la "Morte Psicogenica", ed è un fine vita che arriva senza alcuna morbilità evidente o manifesta, senza alcuna compromissione d'organo, che porta a morte in tre settimane, non perché si è ammalati, ma semplicemente perché non si ha più nessuna voglia di vivere.
Colpisce quelle persone che, dopo uno shock psicologico, drammatico e traumatico, restano appunto scioccati, non reagiscono e non combattono, non riescono a superarlo e improvvisamene sviluppano una apatia estrema, e si lasciano andare, mollano il colpo, abbandonandosi ad un processo che, se non viene contrastato, fa fermare per sempre un cuore sano in meno di un mese.
melania rizzoli
Clinicamente spesso è confusa con "la sindrome del cuore spezzato", che è una morbilità riconosciuta che insorge nei soggetti più fragili non accettano la fine di un amore importante, o un lutto improvviso ed irrimediabile, ma che è tutt'altra malattia, perché queste persone sviluppano una vera e propria miocardiopatia da stress, di solito transitoria che si manifesta con sintomi che possono simulare una sindrome coronarica acuta, e che produce aritmie e infarti coronarici, al punto che tali pazienti a volte periscono di crepacuore.
Ma nel caso della 'morte psicogena' non ci sono prodromi, non ci sono sintomi fisici, non ci sono alterazioni e tutti gli esami radiologici e di laboratorio risultano nella norma, eppure la fine avanza silenziosa e incontrastata, a breve distanza dallo shock psicologico che ha inondato l' anima del paziente disintegrandola, e il quale paziente decide in modo inconscio, che la morte sia l'unica opzione per liberarsi da quel macigno sul cuore.
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Questa nuova patologia non ha nulla a che fare con il suicido, perché non viene attivata coscientemente, e non è legata neppure alla depressione acuta, una malattia facilmente riconoscibile, la quale, anche quando interviene violentemente, non ha questi effetti, e con la quale di norma si può convivere anche per decenni.
La 'morte psicogena' è un evento che arriva quando si decide profondamente che procedere non ha più senso, ed è qualcosa di più di una reale patologia, perché il paziente abbandona la vita da sano, non ha più voglia di sopravvivere, abbandona le armi e si lascia scivolare nell' oblio di un limbo sconosciuto, che lo culla dolcemente verso il baratro.
melania rizzoli
Uno studio condotto all' Università di Portsmouth negli Usa, pubblicato su Science Direct, rende pubblica la nuova 'patologia' dopo averla riscontrata in centinaia di casi clinici, nei quali non è stato possibile individuare una morbilità specifica, o collegarla a qualsiasi malattia, se non evidenziare un legame tra lo stato mentale e fisico legato al trauma psicologico recente, dal quale il soggetto si libera con il distacco completo dalla vita che avviene in sole tre settimane, dopo aver superato cinque stadi.
All'inizio infatti, il paziente si rinchiude in isolamenti sociale, diventa svogliato, passivo e indifferente alle emozioni, quasi instaurasse un meccanismo di difesa per sottrarsi alla realtà. Poi subentra l'apatia, una sorta di morte simbolica, nella quale il soggetto non riesce a fare neppure un piccolo sforzo, non si lava, non si alza dal letto,e trascura tutto quello che ha intorno. A questo punto compare l' abulia, ovvero una totale mancanza di iniziative, di motivazioni e intenzioni, senza che emerga alcuna necessità o alcun desiderio.
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In questa fase il morto vivente può essere ancora recuperato, ma dovrebbe essere scosso da altri, per esempio da una persona cara, anche in modo coattivo, perché l' abulia è pericolosa, in quanto scompaiono addirittura i pensieri, e la coscienza appare svanita nel nulla, pur essendo il soggetto cosciente e capace di intendere.
Questo stato abulico, se non arginato, precipita velocemente nell' acinesia psichica, ovvero una ulteriore e più profonda riduzione della motivazione all' essere, e la persona diventa anche insensibile al dolore, prima fisico e poi psichico. Il paradosso è che in questo stadio paziente è ancora mentalmente vigile, non è catatonico e non è assente, ma è in fin di vita, e smette di mangiare e di bere per 3/4 giorni, cosa che lo conduce alla disidratazione, alla sofferenza cerebrale ed alla morte psicologica, alla disintegrazione dell' io, finché non interviene il delirio, con il disorientamento e le farneticazioni, che altro non sono che il fuoco d'artificio delirante che spegne di colpo l'ultimo respiro.
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La morte psicogenica è stata riscontrata esclusivamente nelle persone lasciate sole, abbandonate al proprio destino, prive di ogni attenzione da parte di chiunque, e non è stata registrata solo tra i barboni o i carcerati in isolamento, ma anche tra coloro che hanno perso il coniuge con il quale hanno trascorso l'intera vita, perdendo la fiducia e l'interesse per ogni cosa.
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Qualunque intervento esterno nelle varie fasi è in grado di invertire la situazione, anche un intervento farmacologico estremo, al punto che negli USA alcuni casi sono stati trattati e risolti con la somministrazione endovenosa di sostanze stupefacenti, per stimolare una ricompensa sensoriale che ha risvegliato motivazione, attenzione, una insolita terapia tentata come l' ultima razio al cospetto di un paziente che non reagisce a nulla.
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Questa sindrome è quindi qualcosa di più di quella del 'cuore spezzato', perché nel caso della morte psicogenica si tratta di una morte autoprocurata, in assenza totale di qualunque patologia organica, se non una grave compromissione dello stato psico-neurologico. Nemmeno gli psichiatri sono riusciti a contrastare la morte psicogena, poiché in assenza di collaborazione il paziente è sordo e muto, è rinchiuso nel suo dolore ed indifferente a qualunque stimolo .
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Il fatto è che noi medici operiamo con i mezzi a disposizione, e siamo in grado di togliere qualunque dolore fisico, anestetizzare anche il più terribile, opprimente ed insopportabile, perché abbiamo creato farmaci potenti, molecole derivate dagli oppiacei che in dosi giuste abbatterebbero un elefante, ma non abbiamo prodotto un solo farmaco contro il dolore dell'anima, non abbiamo nessuna medicina contro quel male non tangibile e non visibile, che corrode, consuma, e buca lo stomaco e il cuore, quello che stravolge la mente, anche se non è il cervello che soffre, ma quella parte di noi che viene chiamata anima, e che appunto anima ed alimenta ogni nostra cellula, e che, ci crediate o no, può essere più pericoloso di quello provocato da una vera malattia, perché se non contrastato spegne la voglia di vita e può portare un individuo sano alla morte psicogenica.
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