Condanne a morte in Arabia Saudita
All'ombra della guerra in Ucraina e al riparo della sete di petrolio di cui soffre il mondo, il principe e i suoi boia hanno organizzato il grande sabato delle condanne a morte. Ottantuno persone in Arabia Saudita sono state decapitate ieri. Ottantuno: non sappiamo se sincronizzate o in tempo diversi. Probabilmente da un angolo all'altro del regno. Ne ha dato notizia l'agenzia statale Spa.
Non conosciamo i nomi dei malcapitati: la tv saudita ha detto che «camminavano tutti sulle orme di Satana». Non è ufficiale il metodo di uccisione, ma si sa che a Riad usano di norma la decapitazione. Quante lame saranno state usate? Le avranno affilate ogni volta, con una squadra di arrotini di Stato?
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Degli 81 decapitati, 73 erano sauditi, sette yemeniti e uno siriano. Il ministero degli Interni sostiene che, «al termine di un equo processo (13 giudici, tre gradi di giudizio)», gli imputati sono stati giudicati colpevoli di «molteplici e odiosi crimini», nefandezze che avevano portato alla morte «di un gran numero di civili e di agenti della sicurezza». I colpevoli avevano «attaccato stazioni e convogli della polizia».
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Si tratta di «membri di Al Qaeda e dello Stato Islamico» e anche «miliziani Houthi», il gruppo filo-iraniano che combatte nello Yemen una guerra contro i sauditi. Quella di ieri è un'esecuzione di massa che non ha precedenti nella storia recente del regno guidato di fatto da Mohammed Bin Salman. Il principe ereditario, figlio di re Salman, è considerato il mandante (impunito) dell'uccisone e dello smembramento dell'oppositore Jamal Khashoggi nel 2017.
Il sanguinoso record di ieri supera quello del 1980, quando erano state messe a morte nello stesso giorno 63 persone, responsabili l'anno precedente dell'attacco alla Grande Moschea della Mecca. Ieri hanno decapitato più uomini di quanti fossero stati giustiziati in tutto il 2021 (sessantanove).
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Nella classifica dei boia più attivi, stilata da Amnesty International, i sauditi sono al quarto posto prima degli Stati Uniti e dopo Iran, Egitto e Iraq, senza considerare la Cina «fuoriclasse» (Amnesty ritiene che ogni anno le esecuzioni siano migliaia). La mattanza di Stato cade guardacaso nel momento in cui il mondo è distratto dalla guerra in Europa, quando l'Occidente ha più bisogno del sostegno saudita per rintuzzare l'emergenza energetica.
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La settimana prossima arriva in missione a Riad Boris Johnson, ed è improbabile che possa accennare al nodo della pena di morte. Mohammed Bin Salman sta modernizzando il Regno, ha permesso alle donne di guidare, ha aperto i cinema. E soprattutto adesso gli viene chiesto di aprire a manetta le condutture petrolifere e di pompare più greggio per contrastare il caro carburante dovuto alla guerra di Putin.
I regnanti sauditi non sono mai stati più corteggiati e si stanno facendo pregare, se è vero che qualche giorno fa il principe giustiziere si è preso il lusso di farsi negare al telefono quando a chiamare era il presidente americano Biden in persona. E dunque avanti con i boia.
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E a proposito di crimini di guerra su cui internazionalmente indagare, oltre a quelli russi in Ucraina ci sarebbero anche le stragi saudite nello Yemen, dove hanno bombardato persino funerali e matrimoni. Qualcuno, a parte le organizzazioni per i diritti umani, ha qualcosa da ridire?
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