GIORGIA MELONI
Dalla rubrica della posta di “Repubblica”
Caro Merlo, tutto ‘sto romanesco che deborda anche in Tv, dal presidente Meloni in giù, mi fa venire in mente sequenze di film buzzurri in rigoroso romanesco infarciti di “te possino”, “a coso”, ecc. Mi chiedo quindi che razza di insulto possa essere l’attuale “a treju”, Fàmose (accento sulla a) na risata, va.
Claudio Franzino -Bosconero (To)
Risposta di Francesco Merlo
Il suono romanesco c’è ed è, qui ci vuole, l’egemonia culturale del potere politico dell’era Meloni. Con la pronuncia strascicata in “italiano sfatto”, anche il tedesco Michael Ende e l’inglese Tolkien rinascono, non de destra, ma de Roma. Pensi a cosa diventa a Roma, non solo a Tormarancia, “Uyulála”, che è una creatura fatta di solo suono, proprio come il “ma mo m’ha’ da di’” di Gigi Proietti.
FRANCESCO MERLO
E, chiamandoli per nome ma con la calata sia Ztl sia di Tor Vergata, nessuno distingue Frodo, Gandalf e Bilbo dai ragazzi di vita Ringo e Ciufalo, Dindinella, Bìtalo e Balì. Il romanesco, che “non è – spiegava Tullio De Mauro - un dialetto, ma un modo di pronunciare”, porta Tolkien nella suburra, dove si confondono elfi, orchi della terra di mezzo e Casamonica: Elrond, Celeborn e Galadriel come Tanca, Caccola, Cicorione e Forfora. E non si sa se sono più tamarri, coatti e birbaccioni l’Oscuro Signore e Bombardil o Caciotta, Spudorato, Cagnazzo e Calabrina.