Comunicato stampa
cocaina
Secondo i dati del Centro Europeo per il Monitoraggio sulle Droghe e le Dipendenze (EMCDDA), quando un utente arriva in carcere con un’incriminazione o una sentenza relativa all’uso ed allo spaccio di droghe, è soprattutto la cannabis la sostanza incriminata, per il 73,7% delle persone. Ma la dipendenza colpisce ed affligge anche all’interno delle mura carcerarie: in Italia circa il 60% dei detenuti fa uso di droghe, il 33% cannabis, il 40% cocaina e circa il 5% anfetamine. Tra i Paesi che vedono il maggior uso in carcere di droghe, l'Olanda raggiunge quota 80%, soprattutto per quanto riguarda la cannabis.
Questi ed altri dati sono emersi durante l’incontro annuale della neonata Federazione Europea per la Salute Penitenziaria ‘Health Without Barriers/HWBs’ (lett. Salute Senza Barriere) che si è riunita il 3 Giugno a Cagliari nella cornice dell’Agorà Penitenziaria. La Federazione Europea, composta da esperti e società scientifiche nazionali indipendenti come la SIMSPe-Onlus, la SESP (Spagna), l’APSEP (Francia), il NAPDUK (Regno Unito), il DIJ (Olanda), si adopera per la promozione della salute e i diritti umani nelle carceri europee, per il beneficio della popolazione nella sua collettività.
cocaina
IL CONGRESSO - Si conclude oggi a Cagliari il XVI Congresso Nazionale SIMSPe-Onlus/L'Agorà Penitenziaria 2015: "Se il Paziente è anche Detenuto". L'appuntamento, che ha visto presenti 250 specialisti, italiani ed europei, è organizzato e presieduto da Sergio Babudieri, Professore di Malattie Infettive all’Università di Sassari nonché Presidente della Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria (SIMSPe).
"Il titolo "Se il Paziente è anche Detenuto" è già eloquente - spiega il Prof. Sergio Babudieri, Coordinatore Scientifico del Congresso e Presidente della SIMSPe - Si tratta di un richiamo per tutta la nostra categoria di medici, ma anche per infermieri, operatori sanitari, agenti di polizia penitenziaria che operano all’interno dei 199 istituti penitenziari italiani, che deve ricordare che stiamo parlando di pazienti. Sono detenuti, ma in primo luogo sono dei pazienti. La peculiarità della medicina penitenziaria è che anche le persone che sono sane ricadono sotta la giurisdizione del magistrato di sorveglianza che ha la responsabilità della loro salute; peraltro, per sapere che una persona non è malata è necessario comunque un atto medico".
METANFETAMINA
"La SIMIT, Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali - dichiara Massimo Andreoni, Professore di Malattie Infettive, Università di Roma “Tor Vergata” e Presidente SIMIT - è molto interessata al prossimo convegno nazionale di medicina penitenziaria in quanto ritiene che le istituzioni nel mondo carcerario rappresentano una priorità. Recenti studi condotti in merito, infatti, dimostrano come la percentuale di detenuti con infezioni da virus epatitici, dal virus dell’AIDS e da tubercolosi sia rilevante".
"La sanità penitenziaria appartiene alla medicina sociale - aggiunge il Prof. Luciano Lucanìa, attuale vice-Presidente SIMSPe - il carcere non è un luogo di cura o di ricovero, ma una residenza, ospitando coattivamente delle persone che altrimenti sarebbero altrove. Ciò che avviene nelle carceri ha dunque una valenza socio-sanitaria, in quanto il carcere resta una parentesi transitoria nella vita di un individuo: la questione sociale è dunque una componente del problema".
DROGHE NELLE CARCERI
metanfetamina ricoperta di cioccolato
Sono due milioni in Europa i detenuti ospitati nelle strutture penitenziarie, con un tasso di occupazione media del 104%. Il Paese con il maggior tasso di sovraffollamento, rispetto alla capienza massima tollerabile, è la Grecia, con il 133,9%, mentre 680mila sono gli utenti delle prigioni russe. Numeri alti, che aiutano a fotografare un ambiente che ha bisogno di un forte cambiamento, soprattutto a causa di un sistema penitenziario che non riesce a controllare adeguatamente la popolazione presente.
Lo scambio di Buone Pratiche in ambito Sanitario Penitenziario è stato il tema dell’incontro, nel quale sono emersi dati che riportano però ad una realtà europea penitenziaria allarmante: la popolazione europea che è transitata durante un anno in carcere si aggira a 6 milioni. Molto spesso per reati legati alle droghe le cause principali della detenzione in carcere, ma la problematica non si ferma all'esterno delle mura penitenziarie, ma colpisce anche il loro interno.
Coltivazioni marijuana
Secondo i dati del Centro Europeo per il Monitoraggio sulle Droghe e le Dipendenze (EMCDDA) presentati nello stesso incontro, quando un utente arriva in carcere con un’incriminazione o una sentenza relativa all’uso ed allo spaccio di droghe, è soprattutto la cannabis la sostanza incriminata, per il 73,7% delle persone. Di questa percentuale, l'84,9% arriva in carcere per uso, il 12,6% per spaccio. A seguire, le altre sostanze stupefacenti sono la cocaina (8,4%), anfetamine (5,7%), altre sostanze (5,3%), eroina (4,7%), ecstasy (1,2%).
DIPENDENZA NELLE CARCERI
Ma la dipendenza colpisce ed affligge anche all’interno delle mura carcerarie: in Italia circa il 60% dei detenuti fa uso di droghe, il 33% cannabis, il 40% cocaina e circa il 5% anfetamine. Tra i Paesi che vedono il maggior uso in carcere di droghe, l'Olanda raggiunge quota 80%, soprattutto per quanto riguarda la cannabis.
Coltivazioni marijuana
Anche in Spagna si consuma principalmente la stessa sostanza, circa il 58% dei detenuti, ma percentualmente l’Olanda ed il Regno Unito (70%) sono i Paesi con maggior consumo di cannabis in Europa. Sempre nelle carceri degli stessi due Paesi il 79% della popolazione penitenziaria usa sostanze stupefacenti. Una situazione che preoccupa anche le strutture italiane: nella classifica il nostro è al 7° posto, su 17 Paesi monitorati. I detenuti che registrano un minor consumo di stupefacenti sono invece in Slovenia, Romania e Croazia.
OVERDOSE
detenuti carceri
Oggi c’è ancora una elevata percentuale di persone che muore di overdose nelle prime settimane successive all’uscita dal carcere, oltre a persone che nel primo anno rientrano in carcere perché compiono nuovamente dei reati. "Lasciare a se stessi questi pazienti - chiosa il Prof. Monarca - espone loro stessi a elevati rischi per la loro salute e la società stessa per la recidività dei reati. Studi americani confermano che nei primi 5 anni dalla liberazione, circa il 75% rientra in carcere; il 43% solo nel primo anno. In Italia non abbiamo percentuali così elevate, ma nel primo anno siamo comunque intorno al 30%. Questi sono dati che vengono dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, dove esiste una capacità di monitoraggio di queste situazioni molto precisa".