Gian Micalessin per “il Giornale”
MINNITI
«Io sono uno che più mi dicono che non si può fare e più mi scatta il trip... Sulla Libia e sui migranti è andata così...». Fuori Roma è un deserto assolato e desolato. Qui nel palazzone dalle cento stanze sul colle del Viminale il ministro Marco Minniti discute con un nugolo di generali, alti funzionari e capi delle forze di sicurezza mentre si divide tra riunioni e sale operative del Viminale.
La sua testa è ferma a quei fatidici 27 e 28 giugno quando nell' arco di sole 48 ore ben 27 navi di tutta Europa, Ong comprese, scodellano sulle coste italiane la bellezza di 12 mila migranti. Quello è per lui il «D day», il giorno in cui comprende che l' Italia non può più sperare nella compassione dell' Ue, deve trovare da sola la soluzione. «Sapete cosa ci offrirono i nostri amici di Bruxelles dopo quelle giornate tragiche e tremende? Non ci offrirono soluzioni politiche, non ci tesero una mano, proposero soltanto di darci più soldi per creare nuovi hot spot».
GENTILONI MINNITI
Insomma per Bruxelles l' importante non era fermare la marea di migranti che si stava scaricando sul nostro Paese ma soltanto metterli in condizione di non muoversi dal nostro Paese - fa capire il ministro. «Perché non crediate mica rimarca Minniti - che quei soldi ci venissero offerti per far star meglio i migranti, per accudirli, per garantire la loro integrazione. No, offrendoci quei soldi ci chiedevano di creare dei centri da cui i migranti non potessero uscire. Ci proponevano di fare dei centri di internamento, cioè delle vere e proprie galere, persino per i minori non accompagnati».
Il ministro non lo dice, ma il paradosso è chiaro. I soldi offerti all' Italia da Bruxelles servivano a garantire che i profughi raccolti in mare dalle Ong e scaricati sulle coste italiane dalle navi di Triton e di Eunavfor Med, ovvero da due missioni europee - non si muovessero dall' Italia, non si avvicinassero ai confini di Francia, Svizzera, Austria e Slovenia, mettendo a rischio sovranità e sensibilità dei nostri «amici» europei.
MINNITI
E, probabilmente, proprio quell' egoismo europeo fa capire a Minniti che l' Italia deve trattare da sola con la Libia, deve aver la forza d' intervenire, deve costruire una missione navale autonoma, lontana dalle pastoie europee che imbrigliano Frontex e Sophia.
Ma i trenta denari di Bruxelles hanno anche il potere di far scattare l' orgoglio di Minniti, quella «calabresità» che il ministro ammette di portarsi dentro. Una calabresità spiegata con la barzelletta del Signore pronto a esaudire i desideri di un romano, di un sardo e di un calabrese. «Il romano sogna di diventare l' antico imperatore Augusto, il sardo chiede mille pecore e il Signore accontenta entrambi. Ma sapete che gli chiede il calabrese? - ghigna in dialetto Minniti - Dio ti prego fai morire le pecore del sardo».
MIGRANTI
Se le pecore fossero navi sarebbe difficile non correre con il pensiero al Canale di Sicilia e alle navi delle Ong che quando Minniti propone un codice approvato all' unanimità dal Parlamento italiano e sottoscritto dalla Commissione Unione Europea, si dicono pronte a sfidarlo. Salvo poi dichiararsi minacciate dalla Guardia Costiera di Tripoli colpevole di avvertirle di star alla larga dalle acque territoriali libiche. Il ministro si guarda bene dal rivendicare qualsiasi atteggiamento vendicativo nei confronti di Msf o di altre Ong.
NAVI ONG MIGRANTI
«La mia posizione - sorride sornione - è quella espressa dal mio vice ministro Filippo Bubbico al Corriere della Sera». La calabresità si nasconde nella risposta in cui Bubbico, interprete del Minniti pensiero, sostiene di non veder alcuna minaccia per le Ong e definisce la Guardia Costiera libica una «forza legittima che non viola i trattati internazionali». «Insomma ministro un' altra delusione per la sinistra» ridacchia un funzionario alludendo alla carriera tutta Pd del vice Filippo Bubbico e alle domande di chi in conferenza stampa chiedeva a Minniti come viva le critiche alle sue politiche di tanta parte della sinistra.
Libia Guardia Costiera
«Vede - risponde felpato il ministro - la colpa è tutta della mia famiglia. Ero figlio di un generale dell' aviazione sognavo di diventare un pilota, ma mia madre non ne voleva sapere e così, a 17 anni, entrai nel Partito comunista. Immaginate con quanta gioia fosse vissuta in casa quella mia scelta. Ma almeno costrinsi mia madre a ricredersi. Forse - mi disse quando ormai avevo 24 anni - era meglio se ti facevo diventare un pilota. Quindi a sinistra devono ringraziare mia madre... se no come ministro dell' Interno gli toccava un ex ufficiale dell' Aeronautica».