Estratto dell'articolo di Alfio Sciacca per www.corriere.it
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Tutto lo strazio di Roberta è racchiuso nel suo ultimo post: «Da tre anni passo le notti sul divano e quando chiudo la porta la domanda è sempre la stessa: dove dormirai stanotte?». Da quando Alessandro Venturelli è scomparso lei dorme sul divano e non più in camera da letto, dove ha trascorso le ultime notti abbracciata al figlio 21enne, lacerato da un misterioso tormento che lo portava solo a piangere. Fino a quando non ha fatto perdere le tracce. Sono passati tre anni, ma Roberta non ha mai smesso di aspettarlo «perché, ne sono certa, lui è vivo ma trattenuto da qualche parte contro la sua volontà».
Una storia di speranza e di tenacia quella di Roberta Carassai e del marito Roberto che per la disperazione si sono trasformati in detective, battendo tutte le piste a Napoli, Milano e persino all’estero.
Dopo tre anni, cosa resta?
alessandro venturelli e la madre
«Una rabbia incredibile per quello che non è stato fatto. Ho bussato a tutte le porte. Da ultimo a quella del commissario per le persone scomparse che dice che non può fare nulla perché ci sono le indagini in corso. Ma non c’è stata alcuna indagine, tranne verificare qualche segnalazione».
Per mesi si è parlato di un allontanamento volontario.
«Ed è stato il primo grande errore. Da subito noi abbiamo detto del malessere di mio figlio, delle sue paure, che dormiva con me e riusciva solo a piangere. Era chiaro che c’era qualcosa che non andava. Ma loro l’hanno subito derubricato in allontanamento volontario. Non c’è stato un posto di blocco, non hanno visionato telecamere che magari possono aver ripreso Alessandro e chi ha incontrato».
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Poi, però, è stato aperto il fascicolo per sequestro.
«Sì, ma dopo quattro mesi. Il telefono che Alessandro ha lasciato a casa lo hanno visionato dopo 4 mesi, quando io lo avevo usato per cercare di capire cosa c’era dentro. Per non dire che il pm che ha il fascicolo non mi ha mai ascoltata. L’unica cosa che vogliono fare è archiviare. Ci hanno provato una volta ed ora ci stanno tentando ancora».
Possibile che non sia stato fatto proprio nulla?
«L’unica cosa fatta in modo serio è stata la ricerca di un corpo. Hanno cercato quello di Alessandro, ma hanno trovato il corpo di una donna scomparsa dieci anni prima».
Voi lo avete cercato anche in Olanda. Perché proprio lì?
«Perché sul telefono abbiamo visto che lui aveva fatto ricerche su una località in Olanda e gli erano arrivate anche le coordinate. Con mio marito ci siamo stati tre volte, l’ultima in aprile. Ho chiesto aiuto alla polizia olandese e all’ambasciata, ma lì ho scoperto che non potevano fare nulla perché non c’è un ordine di indagine europeo, che sarebbe dovuto arrivare dall’Italia. E così le indagini le abbiamo dovute fare noi: negli ostelli, nei centri tipo Caritas, parlando con la gente del posto. Affrontando spese non indifferenti».
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Cosa turbava Alessandro?
«Non lo abbiamo capito. Tutto è cominciato dopo quel lavoro con una ditta che vendeva, porta a porta, macchinette per il caffè. Dopo appena una settimana ci disse che si era licenziato. Da quel momento non è stato più lo stesso: era turbato, dormiva con me, piangeva. Diceva di sentirsi manipolato. Con chi aveva a che fare sul lavoro? Chi ha incontrato? Poi dopo dieci giorni la ditta ha chiuso. Perché nessuno ha indagato?».
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