QUIRINO CONTI
Quirino Conti per Dagospia
Per una giovane anima bella residualmente ancora appassionata di Stile (quale drammatica intempestività!), sarà davvero difficile immaginare le gigantesche moli di documentazione che anno dopo anno, con continuità, sono state collezionate da quanti, per vizio o per mestiere, la Moda l’hanno praticata.
Migliaia di faldoni e testi di ogni genere che, per i più prodighi e assatanati – come nel caso dell’intossicato Karl Lagerfeld –, arrivavano a vere cubature di materiale cartaceo in ogni idioma possibile: quando la Moda sembrava essere il nuovo oppio dei popoli e divini parevano coloro che la maneggiavano. Un accumulo, dunque, depositato in decenni di “mascherature” di ogni genere, cristallizzato in stratificazioni per ere e cicli.
modelli maschili
la sfilata di gucci 4
Poi, il virus. E quel colto arredo da bibliofilo, per pura disperazione (dopo che si era letto di tutto, persino Le Noeud de vipères del mitico Mauriac), finì per attrarre con il fascino di un deposito arcano: sperando in chissà cosa, come fossero tavolette ittite contenenti una criptata Verità.
Per le scaffalature “de mulieribus”, niente di nuovo. Tutto come da copione, essendo argomento consolidato e con ritualità immutabili da qualche centinaio di anni. Fino a un certo appuntamento con il destino, corrispondente più o meno alla Milano socialista e gaudente.
harry styles e alessandro michele di gucci versione gender fluid
Lì tutto sembrò impazzire con pagine di un servilismo ignobile, a vantaggio della più cinica volgarità: persino la grafica parve dover mutare, con rozzi citazionismi per quanti non miravano che al più classico business pubblicitario.
Tanto che finanche Armani, il Magnifico, in quel cumulo di ignominie sembrò un innocente catechista che ancora si interroghi sul sesso degli angeli. Comunque, con Prada si trovò l’antidoto: tanto severo e amaro, quanto velenosa era stata quell’ubriacatura.
modelli maschili
Infine l’ultimo Gucci, e le pagine si fecero concettualmente severissime, come composte da un filosofo nichilista. Fu così che, da una stagione all’altra, tanti “nomicchi” sparirono da quei cataloghi patinati dopo aver impiastricciato di sciocchezze il proprio ciclo da epigoni. Spariti, persi nel nulla. Irrintracciabili.
rick owens sfilata del 2015
Il bello – si fa per dire – arrivò alla scaffalatura con la scritta “de viribus”. Mai recensiti prima in tali dimensioni – e dunque dentro un linguaggio sperimentale quanto mai ambivalente, se si era abituati a schiere di maschi in sobrie parate militari e virilissimi spiegamenti sportivi –, qui la migliore gioventù era catturata dentro schemi formali da cataloghi di sfrontata esibizione sessuale.
modelli maschili
Con branchi di ragazzotti riconoscibili, sempre loro, stagione dopo stagione, tanto estranei a un ruolo almeno simmetrico a quello femminile, quanto perfettamente a proprio agio solo nella ridanciana, immatura allusione al più torbido lenocinio.
Da secoli superata l’idea di modelle come merce facile, e ormai levigate dai Grandi come creature perfette simili a porcellane (anche nei cicli più trash), restava per il maschio all’alba degli anni Novanta la solitudine di una fisionomia sul bordo di un meretricio a qualche centinaio di migliaia di lire;
convinti dallo stilista (finalmente padrone di così tanto materiale maschile) a inimmaginabili trasposizioni, sottoposti a ogni angheria estetica, eccole lì, queste giovani prede, ad ammiccare sorrisi e piccoli bronci con barbe mal rasate (se a beneficio di una collezione machista) o penose depilazioni (quando aspiranti al femminino).
calvin klein il pacco ritoccato di justin bieber
Passivi, immobili nel cuore, persino nell’assoggettarsi a parti e ruoli imposti dal direttore artistico di turno, parti e ruoli peraltro recitati da cani, come un tormento per quel che restava della loro dignità. Ilari per contratto (una incontenibile stilista era terribilmente severa su queste forzate risate a comando), in una bellissima età devastata brutalmente senza ombra di futuro.
Gentili fino all’affettazione pur di poter lavorare, mentre il créateur, nell’uscita finale, con un buffetto troppo promiscuo esprimeva tutto il suo potere su quell’harem di guitti arrivati da ogni parte del mondo.
Una stagione dopo l’altra se ne riconoscono ancora nomi e lineamenti: questi, ma anche quelli, sciupati dalla stanchezza e da un uso che non perdona.
achille lauro gucci
Ma chi erano davvero? Cosa li portava in quegli anni in certe agenzie per poche lire, cosa ne sarà stato di loro? Per le modelle, la leggenda vuole che ci sia quasi sempre un buon futuro all’orizzonte. Ma per loro? Cosa può essere garantito a questi innocenti portatori di ridicolaggini estetiche dopo quel quarto d’ora di passerelle, sudaticci e con problemi di alloggio?
Neppure, salvo gli Armanoidi, tutelati dalla qualità delle immagini, sciatte e volgari per il tocco decisivo dell’immancabile proprietario del marchio, che mai avrebbe rinunciato al massacro di una sua già spietata creazione: specie in zona inguinale o in immancabili mutande (frequentatissima l’ideona di una rosa rossa tra le labbra).
calvin klein kate moss mark wahlberg
Comunque, se mai il tempo conserverà queste costose pagine, quale strazio per i nostri eroi di un momento: che conobbero un’epoca di invidiati stilisti e ora devono ritrovarli come imperdonabili paraninfi.
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