Marco Molendini per Dagospia
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Lucky Luciano Ligabue, la star della pianura, spara sul tavolo un'antologia di sette dischi che ripassano la sua storia a cui aggiunge sette pezzi nuovi che non aggiungono nulla. Succede. Succede spesso, nel mondo della musica e non solo. Il silenzio è il più difficile dei mestieri. Richiede la capacità di confrontarsi con sè stessi, immaginare che non dire quando non si ha nulla da dire, o si ha poco da dire, sia la scelta migliore.
Tanto più se hai alle spalle una storia di successo, fortuna, ricchezza, se sei abituato a vederti portare in trionfo da folle oceaniche. Si, la misura è la qualità più difficile da usare quando si ha a che fare con il consenso. Lo raccontano tante storie animate dall'incapacità di tirarsi indietro, di dire basta, di guardarsi allo specchio.
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A volte si reagisce rilanciando, come se fosse un bluff durante una partita di poker: non ho nulla in mano, ma sparo alto. E, allora, ecco qua il rocker di Correggio, che mescola le carte, rifà il verso a sé stesso, da passista della canzone: voce maschia e femmine da sciupare. «La ragazza dei tuoi sogni/.... è bella che fa voglia/ anche dopo tanti anni/ quando stira/, quando è in bagno» canta nel pezzo che apre il disco delle novità (ed è il migliore).
Prova a far finta di nulla giocando sui propri cliché, ma le carte alla fine si scoprono e rivelano non solo l'ansia del fare a costo di raschiare il barile anche quando è già stato raschiato o di aprire i cassetti (una volta, durante un'intervista ci ha raccontato: «Ho una cassaforte piena di roba mai pubblicata per il bene dell’umanità.
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Per me scrivere è un modo per stare bene al mondo, scrivo indipendentemente dalla necessità di fare un disco»). Così ha pescato resti, scarti di altri dischi (come Un minuto fa non entrato in Buon compleanno, Elvis). Legittimo provarci, è il suo mestiere, a sessant'anni non si cambia, ma sarebbe meglio essere in grado di capire quando è meglio non fare piuttosto che fare per fare. Poteva benissimo pubblicare la sua antologia di singoli, 77, senza bisogno di aggiungere il terzo 7.
Un pugno di canzoni che girano attorno a sé stesse, capaci di ricorrere al luogo comune dei proverbi (chi rompe paga, che vive piano vive sano e va lontano, chi fa da sé fa per tre, eccetera, eccetera come canta Si dice che, ennesima ballata dal rock che non scuote), di combinazioni stiracchiate nei testi e nella musica monocorde, un rock al lambrusco che non frizza, senza filtri.
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C'è il rischio di pensare di essere sempre sulla stessa canzone a parte il brano di apertura e la chiusura in duetto con Elisa.
Luciano riascoltandosi avrebbe dovuto capirlo, ha una lunga esperienza, in trent'anni di vita on the road in cui ha sfornato una doppia decina di album fra lavori in studio, live e antologie, libri, film, almeno 800 concerti, qualche milione di spettatori. Ci sarebbe di che avere la pancia piena. Ma le rockstar non si fermano mai.
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