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    MONDO TRASHO! PARLA JOHN WATERS, ICONA DEL CINEMA INDIPENDENTE AMERICANO: IL CATTIVO GUSTO PER ME È IL CUORE DI COS'È LO SPETTACOLO” – L'IDOLO LITTLE RICHARD (“HO SEMPRE SOGNATO DI APPROPRIARMI DEL SUO CUORE E DELLE SUE CORDE VOCALI, E POI…), L'OSSESSIONE PER CHARLES MANSON E LA SUA "FAMIGLIA", IL FESTIVAL DI CANNES COME GIURATO (“NON SONO COSÌ PAZZO DA AVER RIFIUTATO”) – “HO SEMPRE SOGNATO DI DIVENTARE UN GIOVANE CRIMINALE, MA..." - VIDEO


     
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    Antonio Monda per “Specchio - la Stampa”

     

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    Non sei tu a odiare l'arte contemporanea», mi disse una volta John Waters «ma è l'arte contemporanea che ti odia». Era un «tu» generico, non necessariamente riferito al sottoscritto, semmai a se stesso, perché dietro quell'atteggiamento trasgressivo John sente intimamente il fascino della tradizione e persino della conservazione.

     

    È nato e cresciuto in una benestante famiglia cattolica, e non è un caso che scherzi frequentemente sul fascino che prova per il «cattolicesimo più estremo, precedente alla Controriforma» o anche su temi scottanti e divisivi: «a volte vorrei essere una donna, per poter abortire». Può sembrare una celebrazione della libertà, ma forse anche l'ironia nei confronti di chi antepone quella scelta di libertà a eventuali scrupoli etici: «Io rispetto le cose che derido», mi spiegò una volta.

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    È diventato celebre come il campione del kitsch più folle, ma dietro ogni irriverenza, anche la più estrema, si legge in filigrana il suo opposto, e l'ironia che l'accompagna non è mai cinismo, ma l'intuizione della fallacia di ogni cosa. John Samuel Waters Jr., questo è il suo nome per intero, è nato a Baltimora, città che ogni anno celebra il John Waters day, settantacinque anni fa.

     

    Nel sobborgo di Lutherville, dove è cresciuto, è diventato amico di un giovane chiamato Glenn Millstead, che in seguito assumerà il nome d'arte di Divine e con lui diventerà il protagonista di film demenziali e di culto. Da piccolo rimase molto colpito da Lili, con Leslie Caron, che lo ispirò a realizzare degli spettacoli di marionette per i compleanni dei suoi coetanei.

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    I genitori dei compagni lo invitarono a esibirsi, ma questa prima carriera durò poco: per lo sconcerto di adulti e bambini, gli spettacoli erano caratterizzati da un umorismo nero e dalla celebrazione del pessimo gusto: «Ho sempre sognato di diventare un giovane criminale, ma i miei genitori non me l'hanno permesso», mi ha raccontato.

     

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    Fu in quel periodo che vide IlMago di Oz, che lo influenzò irreversibilmente, per motivi molto diversi rispetto a quelli per cui è universalmente apprezzato: «Mi ha insegnato che nel mondo esiste la cattiveria», spiegò, e decise che avrebbe dedicato la sua vita al cinema. Per un lungo periodo, grazie a un binocolo, riuscì a vedere film per adulti al locale drive in, poi scoprì nei melodrammi di Douglas Sirk la terza e definitiva passione della sua vita, intuendo che portando alle estreme conseguenze quelle storie drammatiche avrebbe ottenuto effetti esilaranti. Si iscrisse alla New York University, ma venne cacciato dal dormitorio del college quando venne scoperto a fumare marjiuana insieme ad alcuni compagni.

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    Tornò senza troppi rimpianti a Baltimora, dove creò l'immagine con la quale è conosciuto tuttora: completi sgargianti, stivali e baffi sottilissimi, in onore del suo idolo Little Richard. «Ho sempre sognato di entrare nel suo corpo», racconta, «appropriarmi del suo cuore e delle sue corde vocali, e poi cambiare identità».

     

    Cominciò quindi a dirigere dei cosiddetti «vehicles» per Divine: film dalle trame inconsistenti, che servivano solo per dar modo all'amico di mostrare un talento fuori da ogni canone e la capacità di non tirarsi indietro di fronte a nulla: in Pink Flamingos arriva a mangiare sterco di cane. La sua irresistibile attrazione per il kitsch, evidente da titoli quali Mondo Trasho, non gli ha impedito tuttavia di esprimere, seppure con il suo stile, spasmi e angosce intime: la vicenda di Cry Baby, che ha per protagonista un giovanissimo Johnny Depp, nasce da un'esperienza personale, con al centro l'omicidio mai risolto di una donna chiamata Carolyn Wasilewski.

     

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    È diventato amico di Patricia Hearst, che si diverte a scritturare nei suoi film, e a volte la ricerca della provocazione a ogni costo lo porta a scelte che travalicano il cattivo gusto, come l'ossessione per Charles Manson e la sua «famiglia», ai quali ha anche dedicato un film. I fan della prima ora non amano le pellicole con le quali si è avvicinato - sempre a suo modo - al cinema mainstream, ma lui non vede grandi differenze tra Polyester e Hairspray, che, proprio per il suo approccio meno estremo è stato anche adattato in uno spettacolo di Broadway.

     

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    Ha l'intelligenza di non prendersi mai troppo sul serio, e rimane sinceramente basito ogni volta che le sue pellicole diventano oggetto di retrospettive, o quando viene chiamato a far parte di giurie prestigiose come il Festival di Cannes. In Francia è tale la sua reputazione che è stato nominato Ufficiale dell'Ordre des Arts et des Lettres: «quando mi hanno chiamato, credevo fosse uno scherzo, ma non sono così pazzo da aver rifiutato». Si vanta di aver visto tutti i film usciti in America da quando è maggiorenne, ma la sua passione più autentica sono i libri: ha una biblioteca immensa e assolutamente eclettica, dove si trovano testi rarissimi di Jean Genet, traduzioni in ungherese dei drammi di Tennessee Williams e interi scaffali dedicati a Liberace.

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    «Ognuno dovrebbe ricordare che è impossibile commettere un crimine mentre si legge un libro», spiega, senza alcuna ironia, e aggiunge «la vita non è niente se non si è ossessionati». La sua versatilità lo ha visto cimentarsi anche nella narrativa, con testi spesso esilaranti, e poi nella fotografia, la scultura, nelle installazioni: si tratta di un'altra attività di successo: il New Museum di New York ha dedicato una retrospettiva esclusivamente alla sua arte.

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    È anche un appassionato collezionista, con opere di Andy Warhol, Cindy Sherman, Roy Lichtenstein e Cy Twombly: recentemente ha donato 372 quadri al Baltimore Museum of Art, a patto che i bagni del museo fossero intestati a suo nome. «Il cattivo gusto per me è il cuore di cos' è lo spettacolo», spiegò una volta, «ma bisogna ricordare sempre che esiste il buon cattivo gusto, e il cattivo cattivo gusto»

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