Giuseppe Scarpa per www.ilmessaggero.it
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«Morire è bello. Coraggio, uccidersi è l’unico modo in cui puoi uscirne». Le chiamano le chat del suicidio. A rimanere impigliato nelle tela un 13enne della provincia di Roma. Tutto ha inizio con il gioco di una console condiviso in internet con altri ragazzi. L’esca per attirare Paolo nella trappola. Il ragazzo fornisce il suo numero di cellulare e finisce catapultato dentro una chat con altre persone di cui non conosce l’identità. Sullo sfondo il lockdown. Le ore passate in casa a macinare tempo con i videogiochi ad un ritmo più elevato del solito. La noia. Nessun contatto con gli amici.
LA STORIA
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Paolo viene proiettato in un mondo che non conosce. Incuriosito inizia le conversazioni. Nei dialoghi si parla di morte, come auto-infliggersi delle ferite, oppure togliersi la vita per “liberarsi”. Il 13enne è sempre più coinvolto, attirato. Nella chat vengono condivisi video. Foto di alcuni partecipanti che mostrano le lesioni che si sono provocati. Tagli con le lamette. I ragazzi si incoraggiano a vicenda. Non mancano i filmati di persone che si suicidano. Infine si discute di una sola cosa. La morte. Paolo è affascinato e stringe “amicizia” con una persona.
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Uno sconosciuto che lo prende per mano in questo strano “gioco”. Quasi fosse una sorta di maestro lo incoraggia a farsi del male, in una conversazione che adesso diventa a due. «Morire è bello. Uccidersi è l’unico modo in cui puoi uscirne», gli scrive. Il 13enne è sempre più avviluppato. L’altro gli chiede di mostrare delle prove, foto di ferite autoinflitte che dimostrino come stia seguendo il percorso indicato.
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Lui non ubbidisce e invia istantanee scaricate dal web di ragazzi che si sono tagliati gli avambracci. Il suo comportamento però inizia a cambiare. In casa fiutano che qualche cosa non va. Il figlio è stanco. Molti appuntamenti per scriversi vengono fissati nel cuore della notte. Altra richiesta inquietante, la scelta di un momento in cui Paolo è solo, con un minore controllo da parte dei genitori.
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Il padre, però, lo scopre alle 4 di mattina mentre chatta con lo sconosciuto. “Un blitz”. Gli strappa il cellulare dalle mani e scopre tutto. È uno shock per la famiglia. Quello strano gioco fornisce in parte le risposte a tutta una serie di comportamenti anomali registrati in casa e di cui era protagonista Paolo.
GLI SPECIALISTI
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La scelta dei genitori è quella di denunciare l’episodio alle forze dell’ordine e di portare il figlio al Bambino Gesù. Nel team della psichiatra Giulia Serra, medico dell’unità di Neuropsichiatria infantile dell’ospedale pediatrico, purtroppo il caso di Paolo non è un episodio isolato. Come spiega la stessa specialista «le consulenze neuropsichiatriche, al pronto soccorso della nostra struttura, per tentativi o ideazione suicidaria, comportamenti autolesivi da parte di minorenni sono aumentate di 20 volte dal 2011 al 2018». La casistica non riguarda episodi che sono indotti solo dai social network.
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La decisione di togliersi la vita può maturare per i più disparati motivi. È importante, spiega Serra, «non far passare il messaggio secondo cui un ragazzino che sta bene e si avvicina a “Blue Whale” o “Jonathan Galindo”, tenta il suicidio». Chi cade in queste trappole sono «preadolescenti o adolescenti che attraversano un malessere e cercano in qualche modo delle “soluzioni” per togliersi la vita, quindi si documentano online».
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Insomma tutti i giovanissimi «hanno la possibilità di entrare in contatto con informazioni sul web - sottolinea il medico - che possono incitare all’autolesionismo ma non tutti sono sensibili a quel messaggio». Purtroppo in questa fascia d’eta «è molto frequente ed è maggiore il rischio, rispetto ad un adulto con il medesimo scopo, di passare all’atto pratico. I giovanissimi per natura - precisa la psichiatra - sono più impulsivi».
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Per adesso né all’ospedale pediatrico né in procura sono capitati episodi collegati a “Jonathan Galindo”, la nuova pericolosa challenge dei social, nella quale possono cadere vittima i più piccoli. La vicenda più grave si è registrata a Napoli, il 29 settembre con il suicidio di un 11enne. Invece, l’unità di neuropsichiatria infantile era intervenuta su casi legati al “Blue Whale”. Altro “gioco” a tappe che spingeva i minorenni a togliersi la vita. Ad ogni modo, conclude Serra, «abbiamo al Bambino Gesù una helpline (06 68592265) dedicata. Un servizio a cui rispondono delle psicologhe h24 sette giorni su sette, a cui si può chiamare per richieste d’aiuto». Paolo adesso sta bene. Nel frattempo la procura indaga su chi lo istigava a suicidarsi.