Fabio Martini per “la Stampa”
aldo moro
Tanti segreti italiani, a cominciare dall' inesauribile caso Moro, si sono puntualmente incagliati sul segreto di Stato che per decenni ha coperto il patto di non belligeranza tra i Servizi italiani e quelli palestinesi. Basato su uno scambio indicibile: la promessa palestinese a non realizzare attentati in Italia, in cambio della libertà di trasporto di armi sul territorio nazionale.
Ma a forza di scavare, si sta scoprendo che all' ombra di quel patto si sono consumati alcuni misteri italiani: la scomparsa in Libano di due giornalisti italiani, la strage alla Stazione di Bologna, ma anche il ruolo delle fazioni palestinesi nella trattativa per liberare Moro, prima disponibili ad attivare la propria "rete", poi dileguate in un batter di ciglia.
moro il caso non è chiuso cover
I documenti desecretati Un contributo decisivo nel focalizzare gli effetti di quel patto, passato alla storia come "lodo Moro", lo ha dato la Commissione Moro 2, che in quattro anni di lavoro (conclusi con irrituale voto unanime della Camera) ha scelto di avvalersi di migliaia di documenti desecretati dagli archivi dei Servizi italiani, di nuove prove di Polizia scientifica e Ris dei Carabinieri, di testimonianze mai attivate. Una gran quantità di "fili scoperti" sono ora riconnessi nella seconda edizione del libro "Moro, il caso non è chiuso. La verità non detta", scritto da Giuseppe Fioroni, già Presidente della Commissione e da Maria Antonietta Calabrò, per molti anni giornalista di giudiziaria al Corriere della sera.
via fani agguato
Durante un' audizione davanti alla Commissione Moro sul tema dei traffici di armi tra palestinesi e Br, l' ex pm Giancarlo Armati ha lasciato "esterrefatti" i commissari, raccontando gli intrecci occulti tra lo Stato italiano e i palestinesi. Armati ritiene esista la "prova" che sia stato il Fronte di Liberazione della Palestina di George Habbash ad uccidere a Beirut i due giornalisti italiani Italo Toni e Graziella De Palo, che in un articolo aveva scritto: «La strage di via Fani è stata compiuta con armi italiane destinate all' Egitto e rientrate per vie tortuose in patria».
GIULIO ANDREOTTI E ARAFAT
Nel 1980 i due giornalisti arrivano a Beirut per indagare sui traffici di armi e scompaiono immediatamente. In un rapporto scritto per Armati, l' allora ambasciatore in Libano Stefano D' Andrea indicò fatti e ricostruì come nella sua ambasciata telex cifrati venissero passati al colonnello Giovannone, che da garante del patto con i palestinesi, li avvisava su ogni grana che li riguardasse. Ma non basta. Armati ha rivelato che dopo aver raccolto indizi per emettere un mandato di cattura contro Habbash, si presentò dal giudice istruttore Squillante, «che cominciò a saltare sulla sedia» e disse: «No, gli elementi non sono sufficienti!».
arafat
Dopo il rapimento dello statista Dopo il rapimento di Moro, marzo '78, i palestinesi offrono collaborazione alle autorità italiane. Il canale individuato è Wadi Haddad, un capo palestinese a Berlino est, organico a Stasi e Kgb. Ma Haddad è ucciso senza che i Servizi dell' Est lo proteggano. Il ministro dell' Interno Cossiga - conoscendo il "lodo Moro" - capisce che una collaborazione troppo stretta con i palestinesi può diventare pericolosa e lascia cadere una richiesta di incontro avanzata da Nemer Hammad, uomo di Arafat in Italia. Ma il 21 giugno, con Moro appena ucciso, comunicazione «segretissima» di Giovannone: le Br hanno consegnato «personalmente ad Habbash» copia delle dichiarazioni rese dal leader Dc in prigionia su questioni di interesse palestinese. Si trattava del famoso Lodo, che i palestinesi volevano a tutti i costi secretare? E' molto probabile.
italo toni graziella de palo
Anni dopo Arafat ha scritto nelle sue memorie: il "Lodo", nel 1973, lo sottoscrisse Andreotti, non Moro. In merito alla strage alla Stazione di Bologna del 1980 (attribuita a terroristi neri e servizi deviati), di recente, tra macerie dimenticate per anni, è stato scoperto un «interruttore artigianale» possibile innesco per l' esplosione, «simile a quello dei tergicristalli di un' auto», incompatibile con attentatori professionali come i Servizi, pur deviati. Una scoperta che fa tornare d' attualità la tesi di Francesco Cossiga di un «trasporto finito male della "resistenza" palestinese».
Italo Toni
Nel libro di Calabrò e Fioroni - edito da Lindau e che punta a superare quella "verità accettabile" frutto di un compromesso tra gli apparati dello Stato e i brigatisti - un capitolo riguarda Alessio Casimirri, «figlio del numero due della Sala stampa vaticana per 30 anni, l' unico brigatista, che pur condannato a sei ergastoli, non ha scontato un giorno di carcere.
Da anni vive indisturbato in Nicaragua, il Paese nel quale approdò un miliardo di dollari sottratti al Banco Ambrosiano» e dove Maurizio Gelli, figlio di Licio, è stato nominato chargé d' affaires dell' ambasciata nicaraguense in Uruguay. Casimirri ha confidato alcune delle sue reti di protezione a un agente dei Servizi italiani che lo aveva agganciato. Raccontò che la sua fuga dall' Italia fu aiutata dal Kgb.
Graziella De Palo
Questo e altro stava raccontando Casimirri, quando tutto precipitò. Il 16 ottobre 1993, l' Unità sparò la notizia dell' intenzione di Casimirri di vuotare il sacco. Come ha raccontato alla Commissione Carlo Parolisi, allora agente Sisde: «Eravamo a un passo dal farlo rientrare in Italia, quel maledetto scoop fece saltare tutto».
YASSER ARAFAT VIA FANI2 L AGGUATO DI VIA FANI DELLE BRIGATE ROSSE PER RAPIRE ALDO MORO ARAFAT E ANDREOTTI