Cristina Pastore e Ivan Fossati per “La Stampa”
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Don Gian Luca Villa è un sacerdote di poche e schiette parole. Quelle pronunciate ieri nella chiesetta del Mottarone dopo la posa della lapide nel primo anniversario della strage della funivia sono anche severe. Quasi una sentenza anticipata: «In molti non vorrebbero se ne parlasse in questo modo, ma lo dobbiamo dire: questa terra è intrisa di sangue innocente».
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Don Villa è parroco di Stresa, la città che da un anno vive in un limbo, come se ci si potesse risvegliare all'improvviso da un brutto sogno e realizzare che non è successo niente. «Invece - insiste il prete - l'incidente è stato conseguenza di azioni scellerate e irresponsabili, compiute non da fantasmi del Mottarone, ma da precise persone».
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Per la prima volta, ieri, sul pendio dove si è schiantata la cabina si sono incrociati gli sguardi di molti parenti delle quattordici vittime. Non si erano mai incontrati tutti insieme, ognuno aveva organizzato il funerale dei propri cari e alla messa di un mese dopo non era venuto nessuno, la ferita era ancora troppo fresca.
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Ieri invece sono arrivati per leggere i nomi dei congiunti su una stele che il Comune di Stresa ha voluto posare nel bosco, un luogo appartato, dove quattordici vite sono state spezzate in una delle prime giornate di festa dopo i lockdown.
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Per i parenti è stato un dolore atroce scorgere la fune traente ancora a terra, appena coperta dall'erba. Vedere quel pilone che ha fatto da trampolino per la vettura numero tre, che prima di schiantarsi è stata lanciata in aria.
I controlli sulla fune
Arrivano in ordine sparso, ed è subito chiaro che non funzionerà il cordone pensato dal sindaco Marcella Severino per evitare contatti tra i familiari e i cronisti. Il dramma della funivia, anche per cosa sta venendo a galla dalle indagini, è un fatto da raccontare.
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Già chiarito che i freni di emergenza (sarebbero entrati in funzione in caso di rottura della traente, fissando la cabina alla fune portante) erano stati bloccati per evitare interruzioni sulla linea, sta emergendo che i fili di acciaio (114, intrecciati tra loro) hanno ceduto uno per volta in un punto preciso, vicino alla testa fusa, e nessuno se n'è accorto perché i controlli manuali non venivano effettuati da tempo. Ecco il perché delle dure riflessioni di don Villa.
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Il presidente della Regione Alberto Cirio ha puntato su un altro tema non secondario: evitare l'oblio. «È un momento pesante, e mi scuso per le parole che non alleviano il dolore, ma le istituzioni fanno bene a ricordare che non si può morire in questo modo. I piemontesi, stringendosi alle famiglie, adesso chiedono giustizia». E la «promessa di fare giustizia» è stata l'unica frase strappata dai giornalisti alla procuratrice di Verbania Olimpia Bossi.
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Cirio ha parlato anche di Eitan, 6 anni, unico sopravvissuto, che qui ha perso fratellino, genitori e bisnonni: «Il nome Eitan significa forza, oggi ci ricorda che dobbiamo avere la forza di pensare che comunque c'è un domani».
EITAN CON I NONNI
Il futuro di Eitan
Proprio ieri i familiari per parte materna di Eitan hanno voluto ricordare le divisioni interne alle due famiglie: «Continueremo a lottare per lui, perché possa crescere in Israele, la sua casa naturale, casa della sua famiglia, luogo di sepoltura dei suoi genitori e del fratellino». E ancora: «Anche se siamo stati condannati a stare distanti, mai rinunceremo alla possibilità che torni qui».
la famiglia di eitan 5
Intanto l'inchiesta va avanti con dodici indagati e per luglio dovrebbe concludersi l'incidente probatorio. Alcuni familiari delle vittime hanno lamentato di essere stati dimenticati, ma c'è anche chi ringrazia.
il piccolo eitan
Una stretta di mano ai vigili del fuoco, agli operatori della protezione civile e del soccorso alpino, ai carabinieri. Anna Gasparro, avvocato, cugina di Angelo Vito, morto sul colpo con la moglie Roberta, avvicina Olimpia Bossi e la pm Laura Carrera per un lungo abbraccio: «La procuratrice e il suo sostituto non sono solo due validi magistrati - dice -, ma due donne che lavorano con il cuore. Ci hanno adottati, noi familiari ci affidiamo a loro per avere giustizia, e siamo sicuri che arriverà».