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I tifosi della Roma ricorderanno a lungo la battaglia di Leverkusen, i sacrifici di una squadra che per 99 minuti ha dato gambe, cuore, polmoni, caviglie e muscoli per un risultato che rende storici i due anni di Mourinho: due finali europee consecutive, soddisfazioni internazionali come mai in precedenza per il club oggi dei Friedkin.
Mourinho ha fatto la partita che voleva, che aveva sognato, preparato. Di pura sofferenza e applicazione: lo conferma il fatto che ha rinunciato anche a un solo minuto di Dybala pur di lasciare in campo gente con le caviglie arroventate, i quadricipiti disturbati, ma la testa lì, sul pezzo.
Nel preciso momento in cui ha tolto Celik, José ha rinverdito i fasti dell’Eto’o di Barcellona, chiedendo a Edoardo “Edo’o” Bove di piazzarsi a destra come quinto per coprire chiunque si presentasse da quelle parti.
Il Bayer le ha provate tutte, Xabi Alonso ha chiuso la partita con cinque attaccanti e gli equilibri andati a farsi friggere, ma i pullman di Mourinho non si sono spostati dalla sede naturale.
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Mourinho e la Roma hanno meritato questa immensa gioia: potrei definire questo risultato “la finale dell’empatia”, ovvero il prodotto della fusione a caldo di un tecnico unico al mondo con ragazzi e uomini con un’anima grande così.
E l’hanno meritata anche perché per arrivare a Budapest han fatto fuori i leader stagionali di Bulgaria, Finlandia e Olanda, la quarta e la sesta della Liga e la settima della Bundesliga.
Il giorno che Mourinho lascerà la Roma per colpa di una società di sprovveduti e ingrati, i miei auguri a chi prenderà il suo posto. I tifosi non li perdoneranno.
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