Marco Macca per www.fcinter1908.it
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In questa nuova carriera da opinionista tv per beInSports, Josè Mourinho non smette di regalare aneddoti e svelare retroscena davvero succosi. Nei giorni scorsi vi abbiamo riportato le parole dello Special One, convinto che l’Inter sia stata la miglior squadra mai allenata finora. Prima del match di ieri tra Arsenal e Chelsea di Premier League, Mourinho ha parlato anche del suo arrivo in nerazzurro, concordato con l’allora presidente Moratti intorno a febbraio. Ecco le parole di Mou:
OFFERTE – “Sono felice delle ultime settimane, di questa esperienza (da opinionista, ndr) e di tante altre che farò. Per esempio, sono già stato invitato ad assistere a un match di hockey sul ghiaccio in Russia, cose che normalmente non faccio. Ma mi conosco e so che verso la metà di marzo non sarò più felice. Futuro in Premier o all’estero? Non lo so, dipende. Come dico sempre, bisogna analizzare tanti fattori. Non mi piace parlare di queste cose, ma ho già rifiutato tre offerte, perché non sentivo che era arrivato il momento. Il mio arrivo all’Inter, per esempio, è stato perfetto: ho lasciato il Chelsea tra novembre e dicembre, a febbraio ho firmato il mio contratto con l’Inter e fino a giugno ho studiato tutto. In quattro mesi ho imparato la lingua italiana, che è ancora la lingua che parlo meglio a parte il portoghese, e mi sono informato su tutto quello che riguardava il club, gli avversari e il campionato. Dunque, anche adesso farò così: mi preparerò alla prossima esperienza, che dovrà però farmi davvero felice“.
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SERIE A – “Ora il campionato italiano è meno competitivo, perché c’è la Juventus che vince il campionato a settembre e tre-quattro squadre che lottano per il secondo posto. Quando c’ero io, era molto più difficile, dato che c’erano più squadre in grado di lottare per vincere: il Milan era meglio di quello attuale, così come per esempio la Roma. Io però mi divertivo. Ricordo uno dei miei primi match a San Siro contro il Genoa: si schierarono con 5 difensori, io cambiai in continuazione sistema di gioco e loro si regolavano sempre di conseguenza. Fu divertente. Ho lavorato in Serie A, Liga e Premier: era quello che volevo e mi sento un privilegiato“.
LIGA – “In Spagna è diverso: perdere punti contro squadre di bassa classifica è un delitto, perché per vincere il titolo sai che hai bisogno di 100 punti. Se pareggi e il Barcellona vince, sai che perderai il titolo, quindi c’è tantissima pressione“.
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PREMIER LEAGUE – “La Premier è più competitiva, ma sta diventando più prevedibile. Prima dell’inizio del campionato avrei scommesso su una lotta fra City e Liverpool. Da quando ho lasciato la Premier, cerco di seguire altri campionati in giro per l’Europa, lontani dalle mie solite abitudini. Ma rimane un campionato molto competitivo, pieno di aspettative in giro per il mondo e davvero spettacolare. La gente la ama“.
CHELSEA – “Quando sono arrivato al Chelsea, l’Arsenal era la squadra più forte, aveva appena vinto il campionato degli Invincibili. Ma i Blues ardevano dalla voglia di vincere, così come Abramovich. Abbiamo fatto in quell’estate un fantastico mercato e portato il livello della Premier molto più in alto“.
NEL CESTO DEI PANNI SPORCHI PRIMA DI CHELSEA-BAYERN – “È tutto vero! Si giocava Chelsea-Bayern, una match troppo importante di Champions. Avevo bisogno di incontrare i miei ragazzi prima della partita e ce l’ho fatta, vi dico come. Sono andato negli spogliatoi a mezzogiorno e la partita era alle sette, ci sono rimasto per un po’ di ore fino all’arrivo dei miei giocatori. Il problema consisteva nel non farmi beccare dai delegati UEFA, così studiai una soluzione. Entrai nella cesta dei panni sporchi, quella grande di metallo. Il magazziniere mi coprì lasciandomi il coperchio un po’ aperto, così che potessi respirare almeno un po’. Ma, usciti dallo spogliatoio, incontrammo i tizi dell’UEFA intenti a cercarmi. Così il magazziniere chiuse la cesta, non permettendomi di respirare. Quando la riaprì, stavo letteralmente soffocando. Dico sul serio, rischiai davvero di morire, giuro”.
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CONFERENZE – “Per essere al meglio come allenatore, ho bisogno di essere un uomo davvero felice. Se ciò accade, sono al massimo livello. Tutto ciò che mi circonda mi deve rendere felice. E, quando sono al meglio, preparo bene anche le conferenze stampa, essendo sempre pronto alle domande imprevedibili dei giornalisti. A volte possiamo far sì che le conferenze vadano in una certa direzione, altre volte dobbiamo essere preparati all’imprevedibile. Quando sono al mio meglio, quando sono “on fire”, in conferenza non vinco la partita, ma riesco a creare una certa atmosfera che può aiutare la squadra“.
PERSONALITA‘ – “L’allenatore deve tenere conto delle tante personalità all’interno della squadra. Drogba, per esempio, era un ragazzo che veniva esaltato dalla pressione che gli metteva l’allenatore, migliorava le sue performance sul campo. E’ un ragazzo molto competitivo. Ma ci sono giocatori che hanno reazioni diverse, questo è un rischio. Di recente, un mio giocatore mi ha detto: ‘Quando devi criticarmi, potresti farlo in privato? Davanti agli altri mi mette a disagio’“.
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ADATTAMENTO – “Quando vai ad allenare in altri Paesi, devi necessariamente adattarti alla cultura generale di quella terra, non solo alla cultura calcistica. Mi è accaduto in tutti i campionati in cui sono stato“.
GUARDIOLA E KLOPP – “La cosa più importante, per un allenatore, è creare una mentalità all’interno del club e che la società supporti tutto questo. Faccio un esempio: dopo la prima stagione negativa, in cui tutti si aspettavano vittorie immediate, Guardiola al Manchester City prese decisioni drastiche, supportato dal club: mandò via quattro terzini nella stessa estate e ne prese altri quattro. Guardate ora anche il Liverpool: chi c’era prima dell’arrivo di Klopp? Praticamente nessuno. L’allenatore deve avere dei giocatori in grado di supportare la propria idea di calcio“.
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OZIL – “Onestamente, non so quale sia il problema: se abbia qualche problema fisico o se la questione sia legata al suo contratto. A volte, è solo un problema di empatia con l’allenatore“.
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FRECCIATA A POGBA? – “Non ho mai litigato con giocatori come Modric, Zanetti, Materazzi, Lampard e tanti altri. Oggi, nella formazione dei giocatori, non puoi essere lasciato solo. E’ come in una famiglia. Se è sempre il padre che educa, i figli finiscono per amare solo la madre e odiare il padre“.
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